Doping, minacce ed omertà

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Forse qualcuno conosce già la storia di Juan-Pablo Villegas, ex-corridore colombiano. La sua è una storia di quelle da ciclismo di altri tempi: figlio di contadini attivi da sempre nella coltivazione del caffè, fin da bambino (7-11 anni) lavorava nelle piantagioni, tagliava rami, bruciava sterpi, e durante la stagione del raccolto si svegliava alle 4.30 del mattino, faceva 2h di cammino per recarsi nella piantagione, lavorava dalle 6.30 alle 5.30 del pomeriggio e raccoglieva i chicchi per trasportarli a braccia fino a dove vengono lavorati. Fino a 70kg a sacco per fare meno giri.

Poi il ciclismo, spinto dai racconti del padre sulle vecchie glorie colombiane e l’immancabile Tour de France alla tv. Con il “training” a cui è abituato vince di forza bruta le prime corse, viene notato e gli viene offerta una possibilità nel team junior Orgullo Paisa, dove corre con Rigoberto Uran. Nel 2011 passa professionista nel team 4-72 dove i suoi compagni sono Nairo Quintana, Esteban Chaves, Jarlinson Pantano, e Robinson Chalapud.

Il team 4-72 (all’epoca Colombia es Passion, oggi Manzana Postobon) ha un forte impegno antidoping e spende gran parte del proprio budget in un programma di passaporto biologico interno. Risultato: In patria non vince niente. All’estero figura molto bene invece, con la vittoria della classifica della montagna di Nairo Quintana al Giro della Catalogna, in cui la squadra si classifica 7^davanti squadre come Saxo-Bank, Astana, Liquigas, Leopard-Trek. Partecipano a varie competizioni di prestigio in Europa senza risultati, fino a Settembre, quando Esteban Chaves vinse il Tour de l’Avenir. Per via degli scarsi risultati in patria lo sponsor principale si focalizza su un’altra squadra in cui confluiscono molti corridori, mentre altri partono per nuovi lidi (Quintana).

Villegas racconta di come abbia subito dovuto affrontare il problema doping, “strada per il risultato”, scegliendo pero’ di restare dalla parte del no. Qualcuno lo tenta: “Hey ragazzo, so che non prendi niente, se vuoi ti posso dare qualcosa e saresti il migliore del paese”. Lui pero’ tira dritto. Vince in carriera 2 tappe del Tour del Venezuela, un Giro del Messico in cui porta a casa anche 3 tappe nel 2014. Molti piazzamenti. Certo non nella corsa di casa, il Giro della Colombia, dove racconta di un livello “sovrannaturale”. E di cui le ultime 3 edizioni sono state vinte da Oscar Sevilla, 39enne, ex cliente di Eufemiano Fuentes e recidivo nel 2010 con annessa squalifica.

Villegas parla del livello sovrannaturale, ma soprattutto parla. In particolare in questa bella intervista del sito AlpsandAndes.com, e racconta di come i corridori parlino apertamente del doping tra loro, delle dosi, le modalità, etc…di come dopo l’introduzione dei test sull’EPO le conversazioni si siano rapidamente spostate su AICAR e GW1516. Di come certe squadre facessero arrivare questi prodotti dalla Spagna. Parla delle connivenze tra stampa colombiana e squadre, di come non si parli dei risultati all’estero di alcune squadre.

Villegas ha parlato…troppo.

Viene criticato da persone dell’ambiente e pure dai media, ma non finisce li. Viene minacciato.

Cominciano ad arrivargli messaggi di minacce su facebook, quindi sul cellulare sotto forma di sms. Lui non se ne cura troppo, ma la moglie si, ha paura. A questo si aggiunge la testimonianza di Ignacio Velez, allenatore di Villegas ai tempi della Colombia es Passion nel 2011, che racconta di come altri corridori lo minaccino, gli dicano di non correre più altrimenti “gli faranno abbassare la cresta”.

Villegas aveva provato a correre negli USA, nel team SmartStop, che pero’ naufraga per problemi finanziari. A quel punto visto il clima in Colombia, le minacce, la pressione e solo qualche supporto molla. A Luglio 2015 ha appeso le ruote al muro ed ora è tornato a raccogliere caffè. Per poi figurare nel 2016 sempre nelle fila del team Manzana Postobon, anche se pare senza correre realmente.

Villegas nell’intervista ha parlato anche di doping tra gli amatori. Niente di che, cose note a tutti ad ogni latitudine sul traffico di dopanti in palestre e negozi. Cose non certo limitate alla Colombia.

Sempre sul sito AlpsandAndes.com viene riportata la testimonianza di una persona, che seguendo le varie “voci” riguardo a questo fenomeno ha cercato di iniziare una piccola indagine sul fenomeno. Recandosi in un negozio di bici “vociferato” e raccontando di essere un mountainbiker scarsotto che voleva migliorare. Gli vengono offerti amminoacidi, proteine in polvere e vari integratori, ma lui insiste dicendo che prendeva già quella roba. Allora gli offrono iniezioni di vitamine e spray. Lo spray si rivela essere GW1516, che gli viene offerto all’equivalente di 200 dollari americani. A quel punto il fasullo mountainbiker dice che per lui sono troppi soldi, ringrazia e se ne va.

Fuori dal negozio sale in macchina e guida verso casa. Dopo qualche isolato un motociclista con casco gli si affianca e comincia ad urlargli oscenità e chiamarlo “sapo” (“ficcanaso”) per poi cominciare ad usare un secondo casco che aveva sul braccio per tentare di sfondargli il vetro.

Tutto questo in pieno giorno nel centro di Bogotà. Ma l’improvvisato investigatore avvisa: “Non leggete e dite -Oh, è la Colombia- leggete e pensate che questo è il ciclismo”.

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Forse episodi come questo non sono proprio comuni al di fuori della Colombia, dove oltretutto quelle sostanze dopanti e la loro vendita pare non sia illegale, ma che tutto sommato questi problemi facciano parte del mondo del ciclismo, professionistico ed amatoriale, quello si.

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