In questi giorni così pesanti e pieni di lutti, dolore, problemi e preoccupazioni, è passata quasi inosservata la notizia della scomparsa di Gianni Mura.
Settantaquattro anni, nato a Milano da padre sardo, Gianni Mura è stato forse l'ultimo grande giornalista sportivo italiano: erede dichiarato di un altro grande Gianni, il Gioanin Brera, ultimo della gloriosa dinastia che ha avuto tra i suoi capisaldi Mario Fossati e Gino Sala, Gianni Mura era un innamorato di ciclismo, di musica e di buona cucina.
Erano gli ingredienti che condensava in maniera mai banale nelle sue cronache dal Tour de France, nelle trentatrè edizioni che ha seguito; era il suo il primo articolo che leggevo sul giornale nei giorni della Grand Boucle, e che mi mettevano di buon umore per il resto della giornata.
Scriveva maledettamente bene, non diceva mai cose banali: magari non condivisibili, ma mai banali.
E' stato l'unico giornalista non francofono a vincere un premio francese di giornalismo (premio Blondin, nel 2015), e questo la dice lunga di come fosse apprezzato anche oltralpe.
Poco tempo fa, prima che arrivasse il virus a sconvolgere le nostre vite, in un'intervista gli venne chiesto dei suoi programmi per il 2020, con gli Europei di calcio ed il Tour de France, e lui rispose pressappoco "gli Europei sono lavoro, il Tour è come una vacanza"... e proprio delle sue cronache dalla Francia è composto il bel libro "La fiamma rossa", emblematicamente dedicato a Luis Ocana e Luciano Pezzi, che inizia con l'anno della tragedia di Tommy Simpson e termina (quasi simbolicamente) con la non vittoria di Armstrong del 2005.
Voglio ricordarlo con questo pezzo, scritto qualche anno fa in memoria di un altro grande del giornalismo sportivo, Beppe Viola, prematuramente scomparso nel 1982: https://www.repubblica.it/rubriche/la-storia/2014/10/26/news/compleanno_beppe_viola-99048934/
A me mancherà.
Settantaquattro anni, nato a Milano da padre sardo, Gianni Mura è stato forse l'ultimo grande giornalista sportivo italiano: erede dichiarato di un altro grande Gianni, il Gioanin Brera, ultimo della gloriosa dinastia che ha avuto tra i suoi capisaldi Mario Fossati e Gino Sala, Gianni Mura era un innamorato di ciclismo, di musica e di buona cucina.
Erano gli ingredienti che condensava in maniera mai banale nelle sue cronache dal Tour de France, nelle trentatrè edizioni che ha seguito; era il suo il primo articolo che leggevo sul giornale nei giorni della Grand Boucle, e che mi mettevano di buon umore per il resto della giornata.
Scriveva maledettamente bene, non diceva mai cose banali: magari non condivisibili, ma mai banali.
E' stato l'unico giornalista non francofono a vincere un premio francese di giornalismo (premio Blondin, nel 2015), e questo la dice lunga di come fosse apprezzato anche oltralpe.
Poco tempo fa, prima che arrivasse il virus a sconvolgere le nostre vite, in un'intervista gli venne chiesto dei suoi programmi per il 2020, con gli Europei di calcio ed il Tour de France, e lui rispose pressappoco "gli Europei sono lavoro, il Tour è come una vacanza"... e proprio delle sue cronache dalla Francia è composto il bel libro "La fiamma rossa", emblematicamente dedicato a Luis Ocana e Luciano Pezzi, che inizia con l'anno della tragedia di Tommy Simpson e termina (quasi simbolicamente) con la non vittoria di Armstrong del 2005.
Voglio ricordarlo con questo pezzo, scritto qualche anno fa in memoria di un altro grande del giornalismo sportivo, Beppe Viola, prematuramente scomparso nel 1982: https://www.repubblica.it/rubriche/la-storia/2014/10/26/news/compleanno_beppe_viola-99048934/
A me mancherà.