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Marco Pantani: "fu omicidio"?
Testo
<blockquote data-quote="lore78" data-source="post: 4972058" data-attributes="member: 37737"><p>Io disinguerei le due situazioni:</p><p></p><p>- il processo a Pantani per la caduta alla MI-TO fu un evidente abuso del diritto nei confronti del corridore. E non già perché egli non fosse dopato, quanto perché sarebbe bastato aprire qualsiasi scritto di dottrina in materia per capire che il fatto non era previsto dalla legge come reato. Se non ricordo male, l'indagine fu iniziata dal Procuratore di Torino Guariniello, persona degna ma molto (troppo?) innamorata delle proprie idee (vedi il recentissimo cazziatone che si è beccato dalle SS.UU. sul caso <em>Thyssenkrupp</em>). In termini giuridici, nei confronti di Pantani fu leso sia il principio di legalità che di tassatività (nessuno può essere punito per un fatto che non è previsto dalla legge come reato nel tempo in cui il fatto fu commesso), garantititi dalla Costituzione prima ancora che dal Codice Penale. Nel suo stile inquisitorio, Travaglio fa passare questa autentica lesione dei diritti fondamentali della persona come un dettaglio. Ma il personaggio è noto. </p><p></p><p>- sui fatti del 2004, invece, tendo a dare ragione al Nostro simpatico giornalista. In Italia, quando non ci si vuole assumere le proprie responsabilità si evoca il "gomblotto". Nel caso della morte di Pantani sono in tanti, a vario titolo, ad avere responsabilità morali gravissime (sulle quali non mi dilungo per non essere o.t.) che certamente non potranno essere lavate dall'ostinazione con cui si cerca di accreditare una realtà diversa da quella sino ad oggi ritenuta provata. </p><p></p><p>Pantani fu un eroe negativo. E, come tutti i grandi, lo fu consapevolmente. O almeno lo intuì. Intuì di aver raggiunto vette troppo alte per poter rimanere anche dopo il 5 giugno 1999 un eroe positivo. Intuì che dopo aver segnato un epoca nel bene, lo avrebbe fatto anche nel male. </p><p>In questo senso, la sua morte è stata coerente con la sua vita.</p><p>Di lui, a me, rimane il monito rappresentato da una vita vissuta tra mille menzogne: quelle che lui raccontava a se stesso; quelle che il suo entourage gli raccontava; quelle che il suo entourage si raccontava (e per la verità si racconta ancora oggi).</p></blockquote><p></p>
[QUOTE="lore78, post: 4972058, member: 37737"] Io disinguerei le due situazioni: - il processo a Pantani per la caduta alla MI-TO fu un evidente abuso del diritto nei confronti del corridore. E non già perché egli non fosse dopato, quanto perché sarebbe bastato aprire qualsiasi scritto di dottrina in materia per capire che il fatto non era previsto dalla legge come reato. Se non ricordo male, l'indagine fu iniziata dal Procuratore di Torino Guariniello, persona degna ma molto (troppo?) innamorata delle proprie idee (vedi il recentissimo cazziatone che si è beccato dalle SS.UU. sul caso [I]Thyssenkrupp[/I]). In termini giuridici, nei confronti di Pantani fu leso sia il principio di legalità che di tassatività (nessuno può essere punito per un fatto che non è previsto dalla legge come reato nel tempo in cui il fatto fu commesso), garantititi dalla Costituzione prima ancora che dal Codice Penale. Nel suo stile inquisitorio, Travaglio fa passare questa autentica lesione dei diritti fondamentali della persona come un dettaglio. Ma il personaggio è noto. - sui fatti del 2004, invece, tendo a dare ragione al Nostro simpatico giornalista. In Italia, quando non ci si vuole assumere le proprie responsabilità si evoca il "gomblotto". Nel caso della morte di Pantani sono in tanti, a vario titolo, ad avere responsabilità morali gravissime (sulle quali non mi dilungo per non essere o.t.) che certamente non potranno essere lavate dall'ostinazione con cui si cerca di accreditare una realtà diversa da quella sino ad oggi ritenuta provata. Pantani fu un eroe negativo. E, come tutti i grandi, lo fu consapevolmente. O almeno lo intuì. Intuì di aver raggiunto vette troppo alte per poter rimanere anche dopo il 5 giugno 1999 un eroe positivo. Intuì che dopo aver segnato un epoca nel bene, lo avrebbe fatto anche nel male. In questo senso, la sua morte è stata coerente con la sua vita. Di lui, a me, rimane il monito rappresentato da una vita vissuta tra mille menzogne: quelle che lui raccontava a se stesso; quelle che il suo entourage gli raccontava; quelle che il suo entourage si raccontava (e per la verità si racconta ancora oggi). [/QUOTE]
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