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Vivere da "assente ingiustificato": ma ne vale la pena ?
Testo
<blockquote data-quote="green dolphin" data-source="post: 6183297" data-attributes="member: 7692"><p>Quello che percepisco è che alla fine il cambiamento è stato prima mentale e poi la cosa ha avuto un effetto sul numero dei km, le ore dedicate alla bici, etc.</p><p></p><p>Credo che sia un processo che prima o poi tutti i ciclisti un po' fissati debbano fare: è come se un certo evento che arriva ci porti a staccare, e a quel punto quando stacchi relativizzi tutto, è come vedersi dal di fuori e ti chiedi se quello di prima, sempre a testa bassa ad incastrare e sacrificare tutto, fossi tu.</p><p>A quel punto riesci a vedere anche quanto ci siano dentro gli altri, per molti credo che si possa parlare di dipendenza.</p><p></p><p>Per qualcuno è un incidente, per altri un altro evento. Negli anni mi è capitato il primo caso ma non è stato sufficiente per capire. Poi negli ultimi anni due lutti ravvicinati mi hanno portato lontano da tutto, anche dalla bici. Quando ho ricominciato a vedere un po' di vita la bici era diversa. Appunto, ero io che all'idea della pioggia o di una domenica in casa dicevo chissenefrega. Non mi pesava più. Non era più il mio primo pensiero. E mi sentivo bene comunque. E più leggero.</p><p></p><p>Ora la bici c'era ancora per me. Forse in un anno farò 8000 km, forse meno, forse più, ma non ha più valore. L'unica cosa che conta ora è la libertà, e la bici, fatta come piace a me, è libertà vera. Ma ora ogni volta che decido di non andare mi sento altrettanto libero. È così che ho capito che prima ero schiavo, ma non della bici, quello era e rimane un oggetto. Ero schiavo di me stesso, e credevo di essere libero. Un'illusione insomma, ma la felicità non può passare da una illusione, prima o poi viene smascherata. Un grande sociologo dei nostri tempi è convinto infatti che il male comune di questa ricerca della felicità verso cui siamo proiettati come uomini moderni e che pare la cosa più importante di tutte, sia appunto nel cercarla per se stessi, come affermazione personale. Questo non solo genera egoismi, ma ci porta momenti di euforia, successi, etc. che scambiamo per la felicità, mentre sono solo episodi. Che puntualmente verranno bilanciati da momenti no e da insuccessi.</p><p>La vera felicità, dice, non siamo noi, sono gli altri. Gli altri, i nostri affetti, le persone con cui dividiamo la nostra esistenza, sono quelle per cui facciamo le nostre scelte, e che danno un senso a tutto. Anche all'andare in bici.</p></blockquote><p></p>
[QUOTE="green dolphin, post: 6183297, member: 7692"] Quello che percepisco è che alla fine il cambiamento è stato prima mentale e poi la cosa ha avuto un effetto sul numero dei km, le ore dedicate alla bici, etc. Credo che sia un processo che prima o poi tutti i ciclisti un po' fissati debbano fare: è come se un certo evento che arriva ci porti a staccare, e a quel punto quando stacchi relativizzi tutto, è come vedersi dal di fuori e ti chiedi se quello di prima, sempre a testa bassa ad incastrare e sacrificare tutto, fossi tu. A quel punto riesci a vedere anche quanto ci siano dentro gli altri, per molti credo che si possa parlare di dipendenza. Per qualcuno è un incidente, per altri un altro evento. Negli anni mi è capitato il primo caso ma non è stato sufficiente per capire. Poi negli ultimi anni due lutti ravvicinati mi hanno portato lontano da tutto, anche dalla bici. Quando ho ricominciato a vedere un po' di vita la bici era diversa. Appunto, ero io che all'idea della pioggia o di una domenica in casa dicevo chissenefrega. Non mi pesava più. Non era più il mio primo pensiero. E mi sentivo bene comunque. E più leggero. Ora la bici c'era ancora per me. Forse in un anno farò 8000 km, forse meno, forse più, ma non ha più valore. L'unica cosa che conta ora è la libertà, e la bici, fatta come piace a me, è libertà vera. Ma ora ogni volta che decido di non andare mi sento altrettanto libero. È così che ho capito che prima ero schiavo, ma non della bici, quello era e rimane un oggetto. Ero schiavo di me stesso, e credevo di essere libero. Un'illusione insomma, ma la felicità non può passare da una illusione, prima o poi viene smascherata. Un grande sociologo dei nostri tempi è convinto infatti che il male comune di questa ricerca della felicità verso cui siamo proiettati come uomini moderni e che pare la cosa più importante di tutte, sia appunto nel cercarla per se stessi, come affermazione personale. Questo non solo genera egoismi, ma ci porta momenti di euforia, successi, etc. che scambiamo per la felicità, mentre sono solo episodi. Che puntualmente verranno bilanciati da momenti no e da insuccessi. La vera felicità, dice, non siamo noi, sono gli altri. Gli altri, i nostri affetti, le persone con cui dividiamo la nostra esistenza, sono quelle per cui facciamo le nostre scelte, e che danno un senso a tutto. Anche all'andare in bici. [/QUOTE]
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