Le vite degli altri

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Quanto valgono le vite degli altri? È una domanda retorica che sembra avere un’eccezione: il valore lo si dimentica una volta al volante. Non si tratta di di fare la morale o di invischiarsi in polemiche e discussioni infantili su “ma anche i ciclisti” o “noi e voi”: presumibilmente la quasi totalità dei ciclisti, amatori o occasionali, è anche automobilista, e sì, tanti ciclisti infrangono regole su regole del codice della strada, dalla banale mancanza del campanello a vere scene patetiche nel fine settimane con grupponi selvaggi che solcano strade trafficate con spirito di rivalsa e forti del “branco” occupando intere carreggiate, insultando gli automobilisti, bruciando semafori rossi a ripetizione o anche affrontando rotonde contromano, con l’arroganza (e la stupidità) di chi crede di essere al Tour de France.

La questione non è però trovare chi ha più colpe, ma decidere se essere civili o meno. I ciclisti a volte non sono civili, ma nella loro incoscienza, forti della loro corazza di lycra, sono i fautori del proprio destino. Gli automobilisti (che non sono “loro”, siamo noi tutti), a bordo di due tonnellate di veicolo almeno, sono i fautori anche del destino altrui.

Il traffico è in aumento, ed in aumento sono gli incidenti. Non è un fenomeno italiano. Chi segue le cronache dal mondo sa che gli incidenti e gli incidenti mortali di ciclisti sono in forte aumento. È un problema che c’è ormai ovunque.

Nello stato di New York, negli USA, dove la legge spesso ha la mano pesante, parlare al telefono alla guida è vietato da 20 anni. Inviare messaggi è vietato da 10 anni. In generale inviare messaggi alla guida è vietato in tutti gli Stati Uniti tranne che per i minori di 21 anni in Missouri e nello stato del Montana (uno stato dove in certe aree ci sono più probabilità di incrociare un orso che una persona, dicono le statistiche). Negli USA muoiono circa 3000 persone all’anno per distrazioni alla guida.

 

fonte: Liberation

Nonostante questo, le statistiche indicano che a dispetto delle leggi, delle multe, delle sanzioni, le distrazioni al telefono durante la guida continuano ad essere un grave pericolo sulle strade americane. In alcuni stati sono state implementate leggi che vietano di tenere in mano il cellulare alla guida, e forse questo ha contribuito al calo di incidenti mortali dovuti a questa distrazione, ma gli incidenti non-mortali sono in aumento. Segno che qualcosa non funziona ancora.

Il sito Bloomberg ha pubblicato un interessante articolo che mostra con delle animazioni queste statistiche, ed in particolare alcune create grazie ai dati di alcune app create da Start-Up di compagnie di assicurazione, che servono a monitorare la velocità dell’auto e l’uso del cellulare alla guida con lo scopo di renderne più virtuoso l’utilizzo in scambio di sconti sui premi delle polizze. In particolare una, TrueMotion, ha fornito i dati di 30.000 automobilisti, e questi dati dimostrano che nonostante questi stessi automobilisti sappiano di essere tracciati vengono distratti lo stesso. Ogni 100 automobilisti, 30 sono distratti per il 5% del tempo alla guida. 1 su 100 addirittura per il 40-50%. Sono gli estremi, ma è superfluo ricordare che anche il 5% di distrazione su un percorso è più che sufficiente per creare o essere vittima di un incidente.

E tra l’altro questi dati aumentano proprio durante i periodi di festività.

Jennifer Smith, fondatrice di StopDistractions, una organizzazione no-profit che si batte per la presa di coscienza del problema della distrazione alla guida, ci dice una cosa importante: “La gente sa che non dovrebbe farlo, ma non riesce a non farlo“.

La Smith chiede una legislazione più attenta, ed è giusto, ma parte importante del suo lavoro parte proprio da questa constatazione: quella che ci sia un problema, e che questo problema è di tutti, coinvolge tutti e bisogna educare la gente a prenderne coscienza.

E questo è quello che qui vogliamo sottolineare: va presa coscienza dei rischi legati alla distrazione alla guida e va presa coscienza dei rischi che con la nostra guida facciamo correre ai ciclisti o ai pedoni, che sono i fruitori “deboli” delle strade.

Sorpassare un ciclista senza stargli almeno a 1,5mt di distanza ed a velocità elevata fa correre dei rischi a quel ciclista, potenzialmente mortali. Un ciclista per mille motivi (ma anche solo 2 o 3) può scartare verso il centro della strada proprio nel momento in cui lo sorpassiamo, e l’impatto può essere fatale. Sorpassarlo solo quando si ha la possibilità di farlo alla giusta distanza porta via pochi secondi per rallentare ed aspettare. Quei pochi secondo non valgono la vita dell’altro.

Questa cosa è stata bene espressa recentemente dal’ultracyclist Omar di Felice su Instragram: “Ecco è questa insofferenza, questa mancanza di umanità questo non comprendere che sulla strada potrebbe esserci chiunque: un padre o una madre di famiglia, un bambino, un anziano, un nostro amico, un parente“.

 

Vanno bene le leggi, le norme, la presa di coscienza che servono più ciclabili, rotonde concepite meglio, ma un cambiamento può anche partire dalla cosa più semplice: un po’ più di umanità, meno insofferenza e più rispetto per le vite degli altri. Prendere coscienza che basta 1″ per rovinare una vita, non ultima la propria.

 

Commenti

  1. bradipus:


    ma se un politico si presentasse con un programma simile, quante probabilità avrebbe di essere eletto?

    in realtà quello che vuole la ggente è l'attuale situazione di semi anarchia, dove la maggioranza ci sgazza benissimo.
    è un po' come per l'evasione fiscale...
    esatto stessa percezione d’impunita io da questo punto di vista tornerei alla vecchia 516 ovvero le manette agli evasori magari non succede nulla ma ti posso assicurare che negli ultimi anni con l’informatizzazione delle banche dati, l’incrocio dei dati, dei c/c, i sequestri x equivalente, un po’ di cose sono cambiate, bisognerebbe fare la stessa cosa con il cds sanzionando maggiormente le violazioni
  2. Ser pecora:

    L'Italia è stato uno dei primi paesi in europa a implementare il divieto di fumo nei posti pubblici con successo (e rapidamente).
    C'è riuscita con controlli a tappeto, sanzioni pesanti, telecamere a riconoscimento facciale e pattuglie in ogni esercizio pubblico?
    Le sanzioni ci sono, ma - stranamente, dico io - il provvedimento è stato recepito come giusto. Anche perché se uno fuma in un locale pubblico il proprietario gli dice di spegnere o di continuare fuori, se no la sanzione la becca lui.
  3. Ser pecora:

    E com'è che era condivisa? C'è stato un modo per renderla tale?
    E ribadisco: ci sono paesi europei in cui quella legge è passata dopo che in Italia.
    È stata condivisa perché 4 italiani su 5 non fuma(va)no e non volevano essere avvelenati.
    4 su 5, non uno su trenta che, nel migliore dei casi, è il rapporto dei ciclisti abituali sulla popolazione. Se i fumatori fossero stati l'80 per cento la legge non sarebbe mai stata neppure ideata, altro che discussa, approvata e rispettata.

    Ecco, se vuoi che le cose funzionino bisogna convincere 29 italiani su 30 (diciamo 24,tanto per restare sullo stesso livello dei non fumatori) che devono rispettare quella minoranza di 1/30, anche se apparentemente crea un disagio. Questo in un paese in cui una fascia di popolazione non si fa problemi a dichiarare la propria indifferenza o peggio verso le vite di certi "altri".

    Per questo, e solo per questo, dico che il paragone tra la legge antifumo e interventi culturali probici hanno poco o nulla in comune.
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