Mi piacerebbe aprire una discussione, proposta in altro forum meno tecnicalista di questo, sulle geometrie "endurance", visto che alcuni costruttori, come Wilier e Moser, propongono in catalogo telai che definiscono "endurance", per il fatto che sollevano e avvicinano il manubrio al tronco.
Preliminarmente, mettiamoci d'accordo sul termine. Immagino che per "endurance" si intenda una pratica sportiva con una qualche tendenza agonistica, anche se non esasperata. Comunque, se trascuriamo le estremità dei praticanti endurance (cioè quelli che vanno a spasso e quelli che entrano nei primi 3000 classificati della Nove Colli), parliamo sempre di un vivace tono muscolare unito ad una certa dose di fondo.
Diciamo almeno 120 km, dislivelli di almeno 1500 m, a una media di 27/28 km/h? Non parliamo di marziani, ma insomma se dici di andare in bici, le zone di prestazione sono quelle, più o meno.
Ora, se guardiamo le geometrie per le soluzioni endurance, troviamo una modifica delle posizioni finali tali da realizzare un pedalare con manubrio più "alto" e più "corto", cioè più vicino al tronco.
A me questa soluzione non convince per nulla. Infatti io mi trovo benissimo con telai un po' più "aperti" tra forcella e tubo piantone, che mi consentano di pedalare un po' più allungato. E' così verificata questa cosa sulle mie fibre, che ho quasi sempre usato cannotti sella con arretramento.
La posizione, a parità di assetto-sella rispetto al movimento centrale/pedivella (quella che si può trovare col classico piombo dal ginocchio al metatarso), stanca appena un po' di più le braccia, ma:
a) la schiena è meno sollecitata perché meno verticalizzata;
b) la pedalata è più efficace per la posizione del baricentro più avanzato e per una migliore ergonomia dei muscoli dorsali, che entrerebbero di meno in gioco se stessi più "alto" di manubrio;
c) si finisce per avere pure un assetto appena più aerodinamico.
Alla fine, se rendo la pedalata più efficiente, per ragion di fisica mi stanco meno e duro di più.
Duro di più: "duro" ha la stessa radice di "endurance".
O no?
Preliminarmente, mettiamoci d'accordo sul termine. Immagino che per "endurance" si intenda una pratica sportiva con una qualche tendenza agonistica, anche se non esasperata. Comunque, se trascuriamo le estremità dei praticanti endurance (cioè quelli che vanno a spasso e quelli che entrano nei primi 3000 classificati della Nove Colli), parliamo sempre di un vivace tono muscolare unito ad una certa dose di fondo.
Diciamo almeno 120 km, dislivelli di almeno 1500 m, a una media di 27/28 km/h? Non parliamo di marziani, ma insomma se dici di andare in bici, le zone di prestazione sono quelle, più o meno.
Ora, se guardiamo le geometrie per le soluzioni endurance, troviamo una modifica delle posizioni finali tali da realizzare un pedalare con manubrio più "alto" e più "corto", cioè più vicino al tronco.
A me questa soluzione non convince per nulla. Infatti io mi trovo benissimo con telai un po' più "aperti" tra forcella e tubo piantone, che mi consentano di pedalare un po' più allungato. E' così verificata questa cosa sulle mie fibre, che ho quasi sempre usato cannotti sella con arretramento.
La posizione, a parità di assetto-sella rispetto al movimento centrale/pedivella (quella che si può trovare col classico piombo dal ginocchio al metatarso), stanca appena un po' di più le braccia, ma:
a) la schiena è meno sollecitata perché meno verticalizzata;
b) la pedalata è più efficace per la posizione del baricentro più avanzato e per una migliore ergonomia dei muscoli dorsali, che entrerebbero di meno in gioco se stessi più "alto" di manubrio;
c) si finisce per avere pure un assetto appena più aerodinamico.
Alla fine, se rendo la pedalata più efficiente, per ragion di fisica mi stanco meno e duro di più.
Duro di più: "duro" ha la stessa radice di "endurance".
O no?