Lo è stato a livello professionistico. Sia agli esordi (come scritto nell'articolo) che poi. I vari campioni del passato venivano dalle classi sociali meno facoltose e non avevano stipendi da favola.
Spesso, anche ai grandi giri, dormivano in palestre o convitti, non in hotel.
Ed anche rispetto altri sport hanno sempre guadagnato meno.
Più o meno il grosso cambiamento è arrivato con l'entrata in gruppo degli americani: Lemond prima (il primo ciclista a guadagnare 1 milione di $ a stagione) e poi con LA, che hanno portato tutto il sistema "showbiz" nel ciclismo.
Però nell'articolo si intendeva vedere dove sta andando il mercato, ed i pro, ovviamente non si comprano la roba, quindi è chiaro che si parla degli amatori.
Ciao Ser,
Infatti io avevo inteso il discorso riferito al mondo amatoriale.
Chiaro che parlando di pro il discorso cambia di molto, ma cambia anche parlando di epoche diverse dalla nostra, quando i vari Binda, Girardengo, Guerra, Bottecchia, facevano (agli esordi) vite che noi neppure immaginiamo.
Ma c'è da dire che Tu parli di epoche in cui la bici stessa era un bene di lusso (almeno in certe zone di questo paese, qui forse partiamo da punti di vista diversi perchè, forse, abbiamo conosciuto realtà sociali diverse) e le persone emigravano oltre confine o oltre oceano semplicemente per poter mangiare e mandare a casa il denaro alla famiglia.
Per fare un esempio, all'epoca a cui fai riferimento, in cui il pro dormiva in una palestra guadagnando poco, c'era gente che andava a lavorare in miniera, magari in Belgio, e dormiva in una branda in una capanna di legno insieme a altre 30 persone. In quell'epoca, se uno iniziava a andare in bici da corsa, era perchè almeno per farlo iniziare, qualcuno gliela aveva comprata, oppure l'aveva comprata lui per cui partiva già da un tessuto sociale più avvantaggiato rispetto a suoi coetanei che non potevano neppure permettersi le scarpe, magari di altre zone del paese...
Oggi il discorso è molto simile, secondo me, anche se meno estremo. La soglia della povertà è più spostata "verso l'alto", ma resta il fatto che esistono ancora famiglie che o non possono permettersi di comprare una bici da corsa (e relativo abbigliamento/accessori) al ragazzo (che magari già lavora in nero come cameriere in un bar dopo la scuola e che quindi non avrebbe tempo/voglia per usarla), oppure potrebbe si comprare la bici, ma vivono in ghetti/quartieri che tutto ispirano fuorchè la pratica del ciclismo su strada. Magari molto lontani (anche logisticamente) da i posti dove organizzano le gare che tanto amiamo. Lontani da qualsiasi gruppo o società ciclistica.
A quel punto al ragazzino/a non resta che giocare con una palla in strada, sognando di diventare un calciatore... non sto parlando delle "favelas" ma di realtà molto vicine a noi...
Per questa ragione, personalmente penso che, a livello amatoriale, il calcio è uno sport povero, ma non il ciclismo: che per essere intrapreso necessita di un tessuto sociale più "avvantaggiato" rispetto a altri sport in cui basta una palla e un paio di scarpe (e ripeto: chiaramente a livello professionistico o anche solo dilettantistico, il discorso cambia)...
Si fa per ragionare insieme, eh