Ecco cosa ho scritto sulla mia pagina fb riguardo alla gara di domenica (molto corto, sappiatelo
)
Quando nel 2014 realizzai che io e il termine campione non avremmo mai potuto incontrarci, decisi di dirottare la mia attenzione verso sfide dall'alto contenuto erot, pardon eroico, ovvero i giri dal chilometraggio immenso: innamorarmi della sfida austriaca percio', e' stata la piu' logica delle conseguenze.
Perche' l'Oetztaler non e' solamente una gara di biciclette particolarmente lunga, ma principalmente un qualcosa capace di miscelare dentro ad un evento che in Europa sembra non conoscere eguali, salite e discese come se non ci fosse un domani. Per me non si trattava del debutto assoluto, in quanto ebbi il privilegio di essere estratto anche nel 2018. L'anno scorso pero', come molti di voi sapranno, una serie di problemi privati minarono la stabilita' della mia marcia di avvicinamento alla competizione. Conclusi la corsa, quello si, ma in condizioni fisiche devastanti e senza l'impressione d'aver lasciato una traccia del mio passaggio. Ecco perche' ambivo a ritornare in Austria una seconda volta: volevo dimostrare che, a livello umano, ero definitivamente guarito.
Ad aprile, una mail dell'efficiente organizzazione crucca mi conferma che il primo settembre saro' nuovamente della partita. Il tempo di immagazzinare mentalmente quanto appena letto e niente, la mia mente si trova gia' proiettata in direzione austriaca. Dopo mesi di allenamenti, sacrifici e rinuncie, il momento del gran ballo arriva sul serio. E non vi e' piu' tempo per disquisire su quanto siano mervigliosi i bordelli austriaci, dato che bisogna prendere una bicicletta e poi pedalarci per circa 230 km.
Le sgambate pre-gara, tutte all'insegna del legnoso andante, lasciano dentro di me un mix di sensazioni contrastanti. Da una parte, l'eccitazione per il grande evento aspettato un anno intero. Dall'altra, il timore di non aver recuperato adeguatamente gli ultimi carichi di lavoro a cui mi sono sottoposto. Sensazione quest'ultima, confermata anche dai primi 30 km di gara, dove le gambe sembrano ingolfate e le potenti trenate dei treni tedeschi, un supplizio che sembra non avere fine. L'inatteso risveglio muscolare avviene appena comincia la prima salita di giornata, il monte Kuthai (18 km per 1200 mt di disl). Affronto la scalata puntando principalmente sulla regolarita' e col passare dei chilometri, la sensazione di andare incontro al fallimento svanisce. Una volta arrivati in vetta, con un contorno di tifosi quasi degno del tour di France, mi rendo conto di aver ottenuto un netto miglioramento cronometrico rispetto al tempo dell'anno precedente e tale cosa, mi spinge a sfornare acrobazie nella seguente discesa (record personale, 109 km orari). Dopo una quindicina di chilometri in pianura si arriva ad Insbruck, ovvero la cittadina da cui parte la seconda asperita' giornaliera. Anche sul Brennero (35 km per 750 mt di disl), la trama non si discosta poi tanto dalla precedente. Punto sulla costanza, memore degli errori commessi nel 2018 (la pendenza, a tratti irrisoria, mi spinse a voler strafare, col risultato di anticipare l'inizio della devastazione sopra menzionata). Il cronometro pero' mi sorride nuovamente e con cinque minuti in meno rispetto al tempo della precedente edizione, porto a compimento pure la seconda fatica di giornata. In proporzione all'anno prima, ho la netta sensazione che tutto avvenga con insolita tranquillita', nonostante si stia pedalando da ormai 120 km e la media di gara risulti tutto sommato ancora molto alta. Ecco perche' quando comincia il passo di Giovo (18 km per 1200 mt di disl), la paura di saltare sembra ormai essere accantonata. La tagliola del cancello orario (transitare in cima oltre la 14 e 25, significa fare ritorno al traguardo sui mezzi messi a disposizione dall'organizzazione) non rappresenta per il sottoscritto uno spauracchio il quale, fedele al motto di andare avanti senza strafare, comincia a sorpassare tutti quei concorrenti che solo qualche chilometro prima sembravano salire come moto. Arrivo in vetta alle 13 e 08, ovvero 40 minuti prima del 2018. E nella mia testa, la consapevolezza di stare facendo un qualcosa di impronosticabile alla vigilia, riesce a mitigare il senso di fatica causato dalle piu' di sei ore ore in sella.
Nella discesa seguente, forse la piu' tecnica ed insidiosa di tutta la gara, le mie doti di discesista non mi abbandonano, segno quest'ultimo di un'apparente lucidita' che mi sprona a non spaventarmi per cio' che qualche metro piu' in basso, attende noi corridori: il Passo del Rombo (30 km per 1800 mt di disl). Quest'ultima e' la salita simbolo della prova austriaca, sia per la sua durezza (la pendenza media, risulta sfalsata a causa di un pianoro lungo 4 km), ma anche per la sua quota altrimetrica (2504 mt). Nel 2018 andai in crisi sin da subito, mentre un anno dopo la situazione si inverte, con il sottoscritto che riesce ad avere in mano le redini del suo destino. La tattica di aver preservato energie sta cominciando a dare i suoi frutti, visto che la quantita' di atleti superati e' direttamente proporzionale a quella di chi fece lo stesso con me dodici mesi prima. Poi, nel momento in cui tutto sembra scorrere a meraviglia e la possibilita' di stare sotto le 10 ore a prendere concretezza, commetto l'unico errore di una giornata comunque indimenticabile: quello di abbandonarmi al facile entusiasmo. La prospettiva di poter puntare al bersaglio grosso, finisce col farmi peccare di presunzione e neanche due secondi dopo, baam, rimango vittima di una scoppola senza eguali. Percorro i restanti 10 chilometri della salita, sicuramente i piu' duri di tutti la corsa, piu' di disperzione che di forza, pero' consolato dal fatto di aver messo in mostra dei progressi evidenti. L'arrivo verso Solden, come al solito tirata a lucido per le grandi occasioni, credo rappresenti al meglio cosa significhi essere Paolo Fantino. Sia per il senso di rincoglionimento che pervade il mio corpo, molto simile a quello dei miei giorni migliori, ma anche per il colpo di pedale (sicuramente minato dalla crisi di cui sopra), uguale a quello di un settantenne che va a fare la spesa a Porta Palazzo il sabato mattina. Taglio il traguardo in 10 ore e 28 minuti (che tradotto in soldoni, significa un'ora e 9 minuti in meno rispetto al 2018), travolto dalle grida di incitamento di un paese intero ed anche con la consapevolezza che prima di metabolizzare cio' che ho appena realizzato, dovro' aspettare come minimo qualche giorno. Ed e' questo il motivo per cui scrivo solamente oggi. Con il passare delle ore infatti, i ricordi hanno finito col farsi piu' nitidi cosi' come la serenita' interiore, la quale e' stata in grado di spingermi verso un risultato che sinceramente non reputavo tra le mie corde.
Questo corto papello e' giunto a termine e vorrei concluderlo cosi' come lo avevo cominciato: non sono e mai saro' un campione di ciclismo, tuttavia sono giornate come il primo settembre, quelle capaci di farmi sentire dannatamente vivo.