mi sembra molto toccante...
La Gazzetta. Sabrina Ballerini e quei rally maledetti
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«Mi telefonano alle 9. Niente di grave, mi dicono. Capisco che non è vero: se è niente di grave, neanche ti chiamano. Quel niente di grave nasconde qualcosa di grave, gravissimo, o forse di più. Devo andare a La Spezia, cè mio figlio Gianmarco, 16 anni, che gioca a calcio, la sua prima partita da quando ha avuto un infortunio al ginocchio, legamento collaterale spezzato, otto mesi tra stop e recupero, prima partita nella Lucchese dopo la cessione dallAtalanta. Mando i miei genitori. Io salgo in macchina e vado allOspedale di Pistoia. Un quarto dora di strada, ci arrivo prima dellambulanza. Se Franco non è ancora arrivato, penso, allora è ancora più grave di quello che temevo.
«IL SUO VISO»
Lambulanza arriva prima delle 10. Gli addetti aprono gli sportelli, estraggono la lettiga, cè uno specialista che sta cercando di rianimare Franco. Si precipitano nel pronto soccorso. Un quarto dora dopo mi chiama un medico. E morto, gli dico io. Lui mi chiede di entrare, di sedermi, di ascoltarlo: si è rotto losso del collo, è morto sul colpo, non se nè accorto. Chiedo di vederlo, anche solo per un attimo. Va bene, mi fa. Franco, eccolo: il viso, poi il lenzuolo. Sembra che dorma. Ha un tampone nellorecchio. E la sua tuta è insanguinata, dalle spalle ai piedi».
IN FAMIGLIA
Sabrina è a casa, con parenti, amici e Luca Scinto che non si dà pace. Gianmarco cè, laltro figlio, Matteo, 10 anni, no: è fuori, con gli amici. «Ci siamo conosciuti che io avevo 15 anni e Franco 21. Qui, a Casalguidi. Lui, dilettante, correva per la Magniflex. Lui non era nessuno, io non lo sono mai stata. Ci siamo piaciuti subito. Leducazione, la generosità: devessere stato quello a conquistarmi. Quattro anni dopo, il 28 ottobre 1989, ci siamo sposati. La donna di un corridore non ha la vita facile: il suo uomo non cè mai. Allenamenti e corse. E a volte, quando cè, ha la testa via, via sempre là, allenamenti e corse.
«I GETTONI»
Era pochi anni fa, eppure sembra preistoria: i telefonini non esistevano, Franco mi chiamava con i gettoni, i gettoni non bastavano, le frasi rimanevano sospese. Poi, quando ha smesso di correre, la vita non è cambiata: sceso di bici, Franco è salito in macchina. Forse anche la donna di un ex corridore non ha la vita facile: anche il suo uomo non cè mai. Il bello di Franco è che non diceva mai di no, a nessuno. Certe sere andava a quattro appuntamenti: lantipasto di qua, il primo di là, il secondo di su, il dolce di giù. Il brutto di Franco è che non sapeva dire di no. Ogni tanto qualche no ci vuole, ti salva, ti protegge. Altrimenti ti toglie, ti sottrae, ti deruba. E quello che dava agli altri, lo prendeva da noi. La qualità resisteva: perché Franco, quando cera, cera. Ma la quantità non esisteva più».
IL DOLORE
E bella, Sabrina, bella anche nel suo dolore senza lacrime. «Cinque anni fa, Matteo, una diagnosi impietosa: tumore maligno alla testa. Lì, le lacrime, le ho versate tutte. Si può chiedere tutto, a una madre, ma non la pelle, lanima, il cuore dei figli. Ho pianto, imprecato, pregato. Ho raso al suolo la mia vita e poi lho ricostruita, anche con la fede. Prima ti disperi, poi ti arricci le maniche e ricominci. E Franco cera, labbiamo condivisa. Matteo è stato operato, è guarito. Il 27 gennaio ha fatto lennesima risonanza magnetica, il 10 febbraio avrà una visita di controllo. Senza poter mai cantare vittoria, ma con la fondata speranza di aver combattuto, lottato e sconfitto il cancro. Come ho accettato e subito la malattia di Matteo, così accetto e subisco la morte di Franco. La subisco, ma non la capisco».
IL BABBO
Si arriccia le maniche, Sabrina, maglietta e jeans sdruciti: «Pensavo: se manca il babbo, almeno la mamma deve stare a casa, altrimenti i figli che li fai a fare. Così alle corse non mi avete mai vista: Olimpiadi, Mondiali, Giro, classiche, trofei, circuiti... Solo una volta, al Mondiale di Verona, quando sullammiraglia di Franco hanno tirato le uova perché non aveva convocato Rebellin. Mai chiesto un pass, ero confusa fra il pubblico. Sempre stata così: arrivo dove posso arrivare con me.
«NON È GIUSTO»
Mai andata neanche ai rally, mai piaciuta la sua passione per le macchine. Brontolavo, poi mi sono arresa: se questo era il suo sogno, il sogno della sua vita. La mia continua. E venuto il parroco, preoccupato, voleva fare il funerale in piazza, allaperto, gli ho detto che è meglio che Franco stia in casa, in chiesa, al chiuso. E venuto il medico, due volte, preoccupato per la mia anemia. Sono io a dire loro di non preoccuparsi. Tiro fuori tutto. Le donne sono forti e io sono una donna forte. Ma non è giusto che, visto che sono forte, debbano capitare tutte a me».