MILANO - Altro che Milano show. Altro che reboante celebrazione dei cento anni del Giro davanti al pubblico della città che gli ha dato i natali. La tappa della grande festa è diventata loccasione di una clamorosa protesta, inattesa e per molti ingiustificata, con il gruppo che per lunghi e tediosi giri ha rullato sul filo dei 30 allora per via del tracciato giudicato pericoloso dai corridori. Una caduta nei primi chilometri (un corridore della Xacobeo) mette in agitazione il plotone che giudica troppo rischioso il circuito milanese pure percorso varie volte in altre edizioni del Giro. Ci sono le rotaie dei tram, semplici coni a spartire il traffico, il basolato, alcune macchine posteggiate male (ma segnalate), le transenne che mancano in qualche punto, niente di più né di meno di quanto ci si aspetta in un normale percorso cittadino. I corridori parlano con Mauro Vegni il direttore di corsa; chiedono ed ottengono che la tappa sia neutralizzata. Niente abbuoni, niente classifica. Qualsiasi cosa succeda la graduatoria rimarrà quella di Bergamo. Ma ai corridori non basta. I velocisti (non tutti, Cavendish, che poi vincerà si dissocia) protestano: se cè pericolo per quelli di classifica cè anche per noi. Dunque, niente corsa, andatura turistica e pedalare.
Avremmo dovuto far transitare primi quelli della Rabobank, per fare in un certo senso omaggio alla squadra di Horrillo, che ha rischiato di morire nella caduta dellaltro giorno ha spiegato poi la maglia rosa Di Luca avevamo anche deciso di devolvere i premi pro Abruzzo terremotato. Ma poi tutto è saltato. Sui premi deciderà Zomegnan nei prossimi giorni. Ma certo chi sciopera non può pretendere di essere pagato. Al quarto passaggio per corso Venezia Di Luca mette il piede a terra, ferma il plotone sotto il traguardo e spiega nella sua duplice veste di leader della classifica e vicepresidente dellassociazione corridori: Ci scusiamo, ma andremo piano di qui allarrivo, non ce la sentiamo di rischiare di più su un circuito non sicuro. E via con passo cicloturistico. Poi - dirà allarrivo - qualcuno si è messo davanti a tirare e alla fine la volata si è fatta. Come sempre una decisione a metà. Tutto sommato è stato il solito pasticcio; non siamo uniti, non riusciremo mai a fare nulla di concreto.
A rompere lunità molti direttori sportivi e patron delle squadre. Quelli della Lampre sono stati sferzati dal patron Galbusera: Dovete rispettare il vostro mestiere e il pubblico milanese, ha intimato ai suoi. E sullabbrivio degli uomini di Saronni la corsa ha ripreso fino al volatone convulso che ha lanciato linglesino Cavdendish verso il terzo successo della sempre più sorprendente Columbia. Ho condiviso lidea di neutralizzare la corsa sulla scia emotiva di quanto drammaticamente scuccesso ieri con Horrillo ha detto il patron Zomegnan - ho annullato musica, gesti ed esultanze sul podio di Bergamo. Adesso trovano pericoloso un circuito che hanno disputato più volte. Se questo è pericoloso allora debbono cancellare gare come la Gand Wevelgem e le altre grandi classiche. I corridori hanno tradito il loro pubblico. Più severo ancora il vicepresidente onorario della Federciclismo Agostino Omini sbottava: I corridori dovrebbero vergognarsi.
E Cipollini nelle vesti di dirigente della Isd: E come se i discesisti dello sci si rifiutassero di gareggiare perché cè ghiaccio o ci sono passaggi troppo ripidi. Il ciclismo comporta certi rischi; qui si è sempre corso senza problemi, anche in condizioni peggiori. Spiace dirlo, ma i corridori non hanno avuto rispetto per il loro mestiere, per il Giro del centenario, per il pubblico. Lui non può parlare gli ribatte Di Luca quando correva era il primo a protestare per queste cose. Anche semplicemente quando cominciava una salita. Sciopero a metà, dunque. Sciopero fallito. In tema con un sindacato dei corridori diviso e mai concorde. E, dietro, inquietanti orizzonti di strategie politico-sportive molto dozzinali. Sarebbe in atto un braccio di ferro fra alcuni settori dellUci, la federazione internazionale e gli organizzatori dei grandi giri.
Quello che ha detto Valerio Piva, manager della Rabobank è significativo: Oggi è stato un momento cruciale degli equilibri del mondo ciclistico. Tale da determinare uno spartiacque fra prima e dopo. Il significato, neppure tanto recondito, era quello di dimostrare che i corridori adesso sono finalmente diventati parte attiva, integrante e incisiva del movimento ciclistico opponendo le loro esigenze alle decisioni di chi sta in alto. Non solo oggetti passivi in mano agli organizzatori, pronti ad accettare tutto. Ma loperazione, dietro cui ci sarebbero dirigenti Uci e corridori come il tedesco Voigt (che agisce come se si stesse preparando un futuro ai vertici della federazione internazionale) che si sono prestati alloperazione, facendo pressione sui colleghi, si scontra con la realtà di un movimento mai compatto e coerente. Se per una prima reazione è bastato ricordare la tragedia sfiorata il giorno prima nella discesa dal Culmine di San Pietro, con lo spagnolo Horrillo (ieri uscito dal comma farmacologico indotto e sottoposto ad un intervento al femore e ginocchio sinistro: se tutto va bene potrebbe essere trasportato in Spagna tra 8-10 giorni) è poi stata sufficiente la voce grossa di uno sponsor (Galbusera, Lampre) per mandare tutto a pallino.
Erano tutti impauriti ha provato a spiegare Ivan Basso proprio per lepisodio del giorno prima. Ma è solo una parte della verità. E non ha aiutato latteggiamento di Armstrong. La star di questo Giro, vera eminenza grigia della corsa, nei momenti critici ha lungamente parlottato con Di Luca in fondo al plotone. Era daccordo nel non voler rischiare, si è messo davanti a tre giri dalla fine per evitare la volata, ma poi alla fine il gruppo non ha rispettato neppure lui, ha spiegato la maglia rosa. Pagato, onorato, riverito dallorganizzazione e contestatore, questa la duplice immagine del texano, che si era già lamentato per certi arrivi secondo lui pericolosi.
A Chiavenna aveva inviato una e-mail al patron Zomegnan, dicendosi preoccupato per le tappe di Bergamo e Milano. Dopo aver visto un arrivo di tappa al termine di 25 chilometri di discesa, credo di aver visto tutto nel ciclismo, aveva fatto sapere. Il patron ha risposto indirettamente: Sono giorni che mi arrivano e-mail, il che mi fa pensare ad una operazione preordinata. Di fatto non è un segreto che fra Uci e organizzatori non circoli buon sangue. La federazione ciclistica internazionale non vede di buon occhio il potere crescente degli organizzatori, specie quelli forti e con le spalle robuste come Aso (Tour) e Rcs (Giro), in grado di dire no alle politiche talvolta dissennate degli stessi dirigenti internazionali. E ancora una volta i corridori hanno abboccato alla provocazione, facendo involontariamente il loro gioco. Senza, poi, avere la forza di portarlo fino in fondo. Naufragando nel pasticcio di Milano che ha contribuito ulteriormente a danneggiare limmagine del movimento già disastrata da doping e dintorni.
In fondo se hanno fatto gli ultimi giri a 50 allora vuol dire che tanto pericolo non cera, dice Zomegnan. Difficile dargli torto. Siamo uno sport masochista - chiosa Gianni Savio manager della Diquigiovanni - amiamo farci male da soli. Triste, ma concreta realtà.