Premettendo di condividere un po' tutte le vostre osservazioni sul fenomeno, la mia opinione è che il triathlon paga lo scotto di essere uno sport di nicchia.
Il paragone con il ciclismo in questo caso tiene poco, perché a mio avviso (avendolo vissuto) il crollo dei partecipanti alle GF è dovuto allo scoppio di una bolla speculativa gonfiata negli anni 2000, con un proliferare di gare, alcune tipo festa per i paesani, organizzate male, e spesso in concorrenza tra loro; quando molti amatori come me si sono stufati di essere presi per c... ed hanno abbandonato, la maggior parte sono sparite e sono sopravvissute solo le più importanti e blasonate, ma immagino anche loro con grossi sforzi.
Ma... la differenza è che il ciclismo è uno sport di massa, forse in Italia secondo solo al calcetto, e che è praticato in modo trasversale da tutte le età senza limiti, quindi l'onda delle diserzioni dalle gare è più lunga e meno visibile, cosa non altrettanto vera per il triathlon che è uno sport di nicchia, quasi elitario, e che paga lo scotto dei pochi numeri.
Inoltre credo che nel triathlon l'abbandono dalle competizioni corrisponda, con le dovute eccezioni, all'abbandono della disciplina, parliamoci chiaramente, ad un ciclista per partecipare alle GF senza ambizioni di podio o piazzamento basta allenarsi un'ora tre volte alla settimana con la classica uscita lunga la domenica, lo stesso vale per un nuotatore o un runner, per un triatleta di giorni ce ne vogliono sei su sette, con un impegno mentale e di disponibilità non paragonabili; quando iniziai un amico mi disse "benvenuto nel tritacarne", intendendo che è uno sport che polarizza quasi completamente la vita, e per la mia esperienza posso dire che aveva ragione.
Mettiamoci pure che il triathlon è lo sport più affetto dal fattore moda e di immagine, è lo sport dove l'equazione atleta = superman è più vera, e forse non sono pochi quelli che partecipano agli IM arrivando al traguardo sulla lingua, ma con l'unico obiettivo di appendere in salotto la medaglia di finisher e conquistare la fama di superuomo tra gli amici, bisognerebbe fare una statistica per capire i numeri e il rapporto con gli abbandoni post gara.
Veniamo al fattore età, la fascia 25 - 30 è quella nella quale l'impegno per costruirsi una vita indipendente dalla famiglia di origine raggiunge l'apice, e in questo l'evoluzione del mondo del lavoro non aiuta di certo vista la tendenza a doversi trasferire fuori regione o all'estero, con contratti precari, orari spesso massacranti, e aggravi di spese che non lasciano molto spazio agli sfizi (in questi casi lo sport diventa tale), in queste condizioni l'abbandono delle competizioni (se non dello sport) può diventare una necessità, e solo dopo i 40 - 50 si raggiunge nella media una stabilità lavorativa e familiare che permetterebbe, in teoria, una ripresa anche agonistica, ma...
... non accade a tutti, ho omesso finora di raccontarvi il disastroso resoconto di quest'anno, in cui tra lavoro all'estero e malanni non ho fatto quasi nulla, addirittura molto meno che durante il Covid! Ho un'età in cui potrei ancora gareggiare, senza ambizioni improbabili ma divertendomi, tuttavia visto il trend credo che mio malgrado entrerò nella casistica di cui si sta parlando.
Ometto volutamente di citare la miopia politica che ci rende un paese dove lo sport giovanile e amatoriale, ovvero la fucina dove si dovrebbe creare la cultura sportiva, è totalmente ignorato, e quello di vertice relegato ai militari o alle forze dell'ordine, perché dovrei fare un deprimente paragone rispetto a quello che vedo all'estero dove esercito una parte significativa del mio lavoro.