Karma ha scritto:
Ho sentito ieri sera che Rebellin l'avrebbe preso nel
perché non riuscirebbe a produrre per tempo l'originale del certificato di nazionalitá....
É O VERO?
Non ha ancora il passaporto argentino, per l'Uci a Verona non può correre il Mondiale. I suoi tifosi minacciano di bloccare la gara.
GALLIERA VENETA (Pd), 2 ottobre 2004 - Alle 21 della sera il dubbio è un coltello tagliente che ferisce. Mentre la speranza è sottile e disperata. Ieri Davide Rebellin è stato investito al termine dell'allenamento da una notizia più pesante di un Tir: non può correre il Mondiale di Verona. Il suo Mondiale. Quello per cui aveva scelto di cambiare nazione. Quello per cui, tenendo fede al suo nome, si era ribellato alla bocciatura di Ballerini e aveva deciso di gareggiare per l'Argentina.
Rebellin abita in contrada del Maglio, dove da quattro secoli funzionano i magli per la lavorazione del ferro, azionati dall'acqua della roggia Cappella. E quel toponimo risuonava del colpo tremendoche si è abbattuto su Rebellin. Anche perché ieri, a tarda sera, la federazione argentina ha iscritto Alejandro Borrajo. Un chiaro segno. Eppure non c'è rabbia, non ci sono lacrime a casa Rebellin. L'amarezza è venata da un elegante «sense of humour», dice Davide. «Anche perché dovremmo fare come Giulietta e Romeo», gli ribatte Selina, la moglie. «È il primo Mondiale che parte senza il leader di Coppa del Mondo», è il controcanto del suocero, Giuseppe Martinello, rassegnato.
«Io continuo a sperare fino a mezzogiorno», replica Selina. «Stiamo aspettando che arrivi la lettera del Ministro dello Sport argentino Claudio Morresi al presidente dell'Uci Verbruggen».
La speranza come esercizio di mortificazione per il paradiso. Come dovere estremo. Come espiazione prolungata nel tempo.
Perché l'Uci non lascia spazio ai sogni. Il legale della federazione internazionale, avvocato Verbiest, ha dichiarato che per iscrivere Davide Rebellin al Mondiale di Verona ci vuole il passaporto, il documento originale. Rebellin ha già la carta d'identità argentina. Mercoledì il giudice di Campana, cittadina a 80 km da Buenos Aires, dove Davide ha fatto le pratiche, ha inviato via fax la documentazione del «sì» per la concessione del passaporto.Ma il passaporto ancora non c'è e non può venire in volo per oggi a mezzogiorno, termine di scadenza delle iscrizioni.
«Se c'è una norma, i legali dell'Uci non possono violarla», ammette Selina. «Vedrai che il passaporto arriverà lunedì mattina», sussurra amaro Rebellin. A 60 chilometri di distanza, nella casa di famiglia di Madonna di Lonigo, dove Attila fece terra bruciata nel 453 a.c., l'atmosfera è disperata. «Abbiamo pianto, io e mia moglia Brigida, quando l'abbiamo saputo», confida papà Gedeone. «Ho avuto quattro figli maschi e li ho messi tutti in bicicletta per avere queste amarezze. Il più piccolo Carlo, mentre era in fuga tre giorni fa, è caduto e si è fratturato il polso...». Dolore e passione. «Ci teneva. Cinque anni fa, sul circuito delle Torricelle, era caduto e s'era fratturato due costole», ricorda la mamma. «L'hanno voluto fare fuori», dice papà. Rebellin aveva già molto sofferto. Sentitelo. «Ai Giochi di Sydney hanno mandato Pantani al posto mio. È partito per l'Australia con la scritta Rebellin sulla tuta». «Un anno fa mi è pesata molto l'esclusione di Hamilton. Avevo vinto a Prato. Ero convinto di poter fare bene». «Quest'anno ero primo in Coppa del Mondo e mi hanno lasciato a casa anche per i Giochi di Atene. Era la terza volta e non volevo rischiare più. Allora ho deciso di cambiare Paese».
Davide è stato tagliato da un commissario tecnico più lento, certo, di Ballerini, ma implacabile: la burocrazia. Non lampeggiava l'odio nelle parole di Rebellin, che rileggeva tutta la vicenda. «Hanno detto che non ho mai chiamato Ballerini. L'ho chiamato per 24 volte ho il tabulato e gli ho inviato un messaggio», dice Rebellin. E, poi: «Certo, non ero disposto a fare la terza punta: non credo che il leader di Coppa del Mondo meritasse quel ruolo. Volevo poter correre alla pari con Bettini».
«Hanno dimenticato tutto. Di quando a Lisbona e a Plouay ho preso Tchmil all'ultimo chilometro. Ho lavorato per gli altri. Nessuno mi ha detto niente. Invece Tchmil ancora oggi me lo rinfaccia». E, ancora: «Non sono pentito di aver scelto l'Argentina. Non mi è costata quella scelta. È stata una decisione forte, ma sono contento di averla presa. Mi dispiace solo di non averla fatta prima». «Mi sento un po' come gli emigranti. Anch'io ho dovuto uscire. Mi sento come loro». E, poi: «Non sono un traditore. Forse sono stato tradito. Non c'è stato rispetto nei miei confronti».
Rebellin ieri è uscito alle 9 rientrando solo alle 17. Otto ore per 230 chilometri. Con le salite di Salcedo, Campo Croce (Monte Grappa), Fontanelle: 2200 metri di dislivello. «Volavo», dice. Aggiunge: «Mi dispiace per i tifosi. Sono già accampati sul circuito». Poi avverte: «Vogliono bloccare la corsa. Ho già avvisato l'organizzazione che c'è questo pericolo. Spero che non succeda nulla. Non bisogna fare un errore più grande». «Bisogna vardar vanti», dichiara fatalista il suocero. Il Veneto si ribella compatto all'esclusione di Rebellin. Anche se il cambio di bandiera assomiglia ad uno slalom su cui si può discutere.
Certo, sul piano strettamente sportivo, se il numero uno di Coppa del Mondo non potrà competere, verrà mutilata anche la qualità della corsa. Eppure la speranza continua a regalare i suoi bagliori. A tarda sera, mentre scriviamo al bar Melody, i quattro del tavolo accanto esclamano all'unisono con bella sicurezza: «Domenega vinse Rebellin». Non sono assorti come «I giocatori di carte» di Cézanne. Sbattono con forza sanguigna le carte. Entusiasti. Felici di un sogno che oggi a mezzogiorno lascerà il posto alla realtà.