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Jean-Pierre Verdy: la mia guerra contro gli imbroglioni

In questi giorni sta rimbalzando ovunque la notizia di un ex-funzionario francese che accusa Lance Armstrong di aver utilizzato un motorino nascosto nella bici nei tempi d’oro delle sue vittorie.

L’ex-funzionario ha un nome, Jean-Pierre Verdy, e queste accuse sono raccolte in un libro che lo stesso ha appena pubblicato: Dopage : Ma guerre contre les tricheurs.

Jean-Pierre Verdy

Verdy è stato il direttore e creatore del dipartimento controlli dell’agenzia francese per la lotta al doping (AFLD) dal 2006 al 2015, ed in quanto tale ha istituito delle “cellule stile commando” come le definisce lui stesso, ovvero unità miste composte da funzionari di diverse agenzie, come fisco, dogane, polizia, gendarmeria ed ispettori farmaceutici, i quali lavoravano assieme. Prima di assumere questo ruolo Verdy è stato un pentatleta e poi allenatore di pentathlon presso l’INSEP, il centro statale francese di eccellenza nelle attività sportive, che raggruppa ed allena i “nazionali” di tutti gli sport, e che si trova alle porte di Parigi.

Le accuse di Verdy, maturate quindi nella sua trentennale frequentazione dell’ambiente, vanno oltre il motorino presunto di Armstrong, ma colpiscono al cuore il “sistema” antidoping, che Verdy chiama, citando un consigliere scientifico dell’AFLD, il sistema del “far sembrare che”. Ovvero la sottile gestione della lotta al doping, ma senza frenare troppo le ambizioni di risultati di ministeri, federazioni e sponsor. Un sistema in cui vengono fatti investimenti anche ingenti per i controlli, ma senza che poi questi debbano danneggiare i proventi delle vittorie, intralciandole. Effetto nefasto che poi si ripercuote sugli stessi controllori a cui vengono tagliati i finanziamenti. Un equilibrio sottile, molto sottile, in cui gli sport che contano di più finanziariamente sono più coperti a tutti i livelli.

Verdy parla dell’ambiente estremamente chiuso ed omertoso del calcio, o del “delitto di lesa maestà” che rappresentava (?) controllare un Rafael Nadal. “Solo una volta“, racconta Verdy, “ci è stato consentito di controllarlo a sorpresa“.

Verdy ovviamente non manca di citare il ciclismo, che col doping ha un legame a doppio filo da sempre. A proposito di Armstrong cita le amicizie influenti, come l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy. Verdy racconta di come, nel marzo 2009 avesse organizzato una vasta operazione di controllo presso la residenza francese di Armstrong, a Saint-Jean-Cap-Ferrat, in costa azzurra, ma l’americano gli ha semplicemente sbattuto la porta in faccia. Cosa che avrebbe dovuto portare ad una squalifica automatica, ma invece niente successe, anzi, Sarkozy andò a fargli visita personalmente al Tour de France poco dopo. Cosa che Verdy definisce “allucinante” dato che tutti sapevano almeno dal 2005 che era dopato. Anzi, a fine Tour Lance fu accolto in pompa magna all’Eliseo, il palazzo presidenziale francese, in occasione della presentazione del Tour 2010.

Allo stesso Tour, poco prima della visita di Sarkozy ad Armstrong, l’autobus della Astana fu fermato alla dogana al confine svizzero-francese, ma fu lasciato andare su “ordine superiore” senza perquisizione, con gli svizzeri “furiosi” dato che prima di essere fatti scendere avevano trovato a bordo delle bottigliette d’olio coi nomi di ogni corridore. A seguito di questo episodio il presidente dell’AFLD, Pierre Bordy, si dimise. Armstrong non perse l’occasione per una delle sue solite prove di arroganza che tanto lo hanno fatto amare da tutti:

Su Armstrong poi il sospetto del motorino nascosto, che sarebbe stato avallato dalla rete di informatori di Verdy dell’epoca, oltre alla convinzione di alcuni consiglieri scientifici dell’AFLD che alcune prestazioni di Armstrong non sarebbero state possibili nemmeno con l’utilizzo di EPO (Verdy aggiunge: “tanto più che era noto che prima della malattia l’americano non stava coi primi nemmeno su un cavalcavia“).

Prove: nessuna. Ma Verdy dice che “non ho la prova, ma un giorno forse verrà trovata. Ci credo“.

Oltre ad Armstrong non mancano riferimenti ad altri ciclisti, come “al padre di due corridori lussemburghesi” osservato a mezzanotte salire nelle stanze dell’hotel dove alloggiavano i figli durante il Tour in uno sconfinamento extra-francese con una ghiacciaia, che non è stato possibile perquisire perché la sola giurisdizione era dei doganieri, in quel momento non disponibili.

Insomma, niente di nuovo, o forse si. Il quadro della storia del doping si definisce sempre più dettagliatamente nel corso del tempo. Ma nello stesso tempo si confonde anche con la nebbia della memoria, in particolare di chi non vuole sapere.

 

 

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Pubblicato da
Piergiorgio Sbrissa

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