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Caso Lopez: parla Erviti

Sul Diario de Navarra è apparsa un’intervista a Imanol Erviti, 37 enne, gregario della Movistar, che racconta di prima mano l’episodio dell’abbandono di Lopez alla Vuelta, ma prima dando anche un po’ di contesto sull’atmosfera in squadra durante la corsa, con i problemi e la fatica a farsi sentire vista la perdita di alcuni compagni nelle tappe precedenti ed il maggior lavoro da fare. Nel frattempo alcune voci (Gazzetta dello Sport e L’Equipe) vogliono Lopez di ritorno alla Astana, ma altri parlano anche della UAE-Emirates, dove troverebbe 4 connazionali. Anche se queste ipotesi si scontrano con notevoli difficoltà legate al contratto che lega Lopez alla Movistar per ancora un anno, e le necessità della squadra spagnola per la prossima stagione.

Diario de Navarra (DN)-Com’è correre con tre compagni in meno?

Imanol Erviti (IE) -Cambia tutto. Ad esempio, se devi avere tre corridori attenti agli attacchi non li hai più. Alla Vuelta eravamo in tre contro gli attacchi di sette Jumbo. Ti condizionano tutti i movimenti, in realtà non corri a tuo piacimento, al tuo ritmo o secondo i tuoi piani. Devi ballare al ritmo che gli altri impongono, con la paura che ti prendano in un momento di difficoltà o in un contropiede che poi devi risolvere. Abbiamo dovuto correre sempre super coraggiosi, ogni giorno, perché avevamo più da perdere che da guadagnare. Ci sono stati giorni che la battaglia per la fuga è durata due ore. In tre, mezz’ora a tutta è sopportabile, due ore è più complicata. Ti consuma molto, vuol dire molto tempo al massimo delle prestazioni fisiche e mentali. Stai tutto il giorno a calcolare quale fuga devi chiudere e quale no, e osservare i movimenti di tutti. La richiesta fisica è stata massima per tutti, ma il livello di allerta dell’intera squadra è stato enorme.

(DN)-E il tutto difendendo un secondo e un terzo posto della classifica generale.

(IE)-Sì. Siamo rimasti in quattro molto presto, con la caduta di Verona eravamo in tre a fare tutto. Eravamo in un giro ideale per avere una buona squadra e forzare le situazioni di gara, ma abbiamo corso in modo precario e al passo degli altri. Abbiamo corso come potevamo, non come volevamo. Il giorno di Bernal e Roglic a Covadonga avremmo voluto fare la gara in modo diverso, ma abbiamo fatto quello che abbiamo potuto.

(DN)-Come avete gestito la cosa?

(IE)-Siamo fortunati ad avere persone come Nelson e Rojas, che sai che sono persone che risponderanno sempre e non ti deluderanno mai. Sono una garanzia, sai che ti copriranno. Avere persone competenti e impegnate è estremamente importante. Con una squadra precaria, i giorni azzeccati te li godi di più, e viceversa.

(DN)-In altre parole è stata una Vuelta corsa quasi minuto per minuto, senza possibilità di molta strategia.

(IE)-Siamo partiti con un piano, ma poi abbiamo dovuto navigare a vista. Il lavoro di chi stava al comando della squadra non è stato facile. La situazione ha unito molto quelli di noi che facevano lavoro di squadra. Avere una sfida difficile ed essere in grado di mantenerla rafforza la fiducia. Abbiamo fatto sul serio ed è stato difficile uscirne. In queste circostanze tiri fuori il meglio, non si sa come, ma lo fai.

(DN)-Come hai vissuto l’episodio di Superman López?

(IE)-Non ho sentito molto alla radio, era una zona boscosa, con scarsa copertura. Sapevo che a un certo punto c’erano gli ausiliari con l’acqua. Sono passato e ho visto due auto, una delle quali con delle biciclette. Ho pensato, qualcosa non va. E un assistente mi ha detto: “fermati, fermati Imanol!, che Miguel Ángel è qui!”

(DN)-E?

(IE)-Ho chiesto se era caduto o stava male. Mi sono fermato e l’ho trovato infastidito, in crisi, scosso da quello che era successo.

(DN)-E cosa hai fatto?

(IE)-Sono sceso dalla bici e ho cercato di convincerlo ad andare avanti.

(DN)-Come?

(IE)-Beh, con le buone ho cercato di incoraggiarlo, di farlo reagire, perché aveva tempo per riprendersi e che poteva farlo per impegno di squadra, per i compagni che c’erano, perché aveva già abbandonato il Tour e se ne sarebbe pentito. Non so, ho cercato di essere il più positivo possibile, per incoraggiarlo. Per come l’ho visto, non si trattava di forzarlo e provarci con le cattive. Ma non c’era modo.

(DN)-Che cosa hai fatto?

(IE)-Ho continuato, ma poi continuavo a pensare a quello che era successo, se avevo fatto bene o male… sono cose che ti lasciano cattive sensazioni. Era una situazione molto spiacevole. Non avevo tutte le informazioni, ero fuori posto. E penso che pochissime persone avranno le informazioni complete per giudicare bene tutto.

(DN)-Cosa è successo dopo?

(IE)-È una situazione molto violenta. Vivi tutto con incredulità, mi sembra ancora irreale. Quello che è successo è successo.

(DN)-Cosa succederà?

(IE)-Guarire le ferite di MiguelÁngel non sarà facile. Ci vorrà lavoro, tempo e pazienza da parte di tutti. È una situazione in cui la fiducia salta per aria, e la prima persona a essere danneggiata da tutto ciò che è successo è lui.

 

Un altro corridore della Movistar, Carlos Verona, nel frattempo ha liquidato le numerose polemiche in rete tra spagnoli e colombiani, schierati contro e pro Lopez su temi nazionalistici, come “stupidaggini”.

Un altra voce, riportata dal quotidiano El Tiempo, parla di “ordini di non inseguire” il gruppo Mas nella tappa del fattaccio, ed è quella di Rafael Acevedo, ex ciclista e suocero di Lopez.

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Pubblicato da
Piergiorgio Sbrissa

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