Recentemente vari Team Manager francesi hanno lanciato un allarme sulla direzione che ha preso il ciclismo negli ultimi anni, e non si parla solamente di medie orarie, giovani sempre più giovani e campioni sempre più campioni, ma di budget. Secondo i dati raccolti dalla Gazzetta dello Sport il budget medio delle squadre World Tour maschili è aumentato del 60% negli ultimi tre anni, arrivando ad una media di 32 milioni nel 2024 (ovviamente va considerato che ci sono poche squadre con budget attorno ai 50 milioni ed altre che scarseggiano i 15).
Ora, come sempre nei tempi contemporanei, da un lato si può plaudire al fatto che il ciclismo sia uscito dalla dimensione prettamente provinciale di sponsor di cucine componibili o diserbanti ed abbiano conquistato sponsor con portafogli dal fondo praticamente infinito, facendo lievitare anche i compensi dei corridori, ora non più dei paria rispetto i loro colleghi di sport più popolari (sorvoliamo sul fatto che molti di questi sponsor siano entità praticamente sconosciute al grande pubblico, a volte non sia chiarissimo cosa facciano, con quel retrogusto di opacità da sportwashing).
Dall’altro c’è chi vede dei limiti in questo andazzo, ed è inevitabilmente bollato come un boomer nostalgico di quando il ciclismo era uno sport povero per poveri. Nel mondo del ciclismo un Boomer per eccellenza è Marc Madiot, team manager della Groupama-FdJ, che da tempo lamenta che il ciclismo sta andando contro un muro, guidato a tutta velocità dai summenzionati sponsor (alcuni statali), ma anche da agenti dei corridori che stanno scombussolando il modo in cui si sono sempre fatti i contratti, facendo avvicinare il ciclismo al calcio per modi e metodi: “Oggi si va verso un 5-6 gruppi che dominano tutto. Non serve a niente chiamarle squadre. Sono “entità” che ormai hanno 50 milioni di budget. E tra poco sicuramente ce ne saranno 10 o 15“, lamenta Madiot. Il quale, essendo sempre stato un tradizionalista, per non dire un purista che non vuole sponsor sulle maglie dei campioni nazionali francesi, non solo non vede di buon occhio questa evoluzione, ma si trova a lottarci contro stando a capo di una squadra che non conta su questi sponsor miliardari e sul lungo termine vede il rischio di rimanere vittima di questa lotta impari in termini di budget.
Una vittima bella e buona di tutto questo è stato presumibilmente Vincent Lavenu, ex-team manager e fondatore della squadra più longeva del WT, la Decathlon-AG2R La Mondiale, che Lavenu ha fondato nel 1992, all’epoca Chazal-Vetta-MBK (il main sponsor, Chazal, era una salumeria), poi Casino-AG2R, quindi, dal 2000 AG2R-Prévoyance, poi AG2R-La Mondiale. Una squadra che coi suoi pantaloncini marroni è stata un’icona per anni. Poi l’arrivo nel 2024 del gigante Decathlon con conseguente retrocessione di Lavenu da General Manager a direttore sportivo (Lavenu aveva già venduto la licenza a Decathlon per appianare dei debiti), quindi il licenziamento dopo il Tour de France (per mano del direttore delle risorse umane assunto dallo stesso Lavenu nel 2015).*
Largo al nuovo insomma, ma stavolta il dinosauro non si è messo sotto un sasso ad aspettare il meteorite, ma sta sfruttando le possibilità dell’oggi per creare qualcosa di ancora più nuovo. E questo nuovo si chiama Ma Petite Entreprise (la mia piccola impresa). L’idea è venuta a due imprenditori francesi trentenni, Emeric Ducruet e Michaël Amand, titolari di business di informatica e comunicazione (il primo) e panificazione (l’altro) di media dimensione, i quali hanno proprio esteso l’idea della piccola e media impresa come motori per creare una squadra professionistica di ciclismo, ma basandosi sulla forza del numero:
“Ho voluto mettere in luce la realtà del tessuto economico francese, costituito in larga maggioranza da piccole strutture e in cui le piccolissime e medie imprese rappresentano il 45% degli occupati. In Francia ci sono molte più piccole strutture che grandi gruppi e trovo un peccato che non possano brillare sui media. È anche un modo simbolico per coinvolgere tutti coloro che desiderano partecipare a un progetto di grande portata senza spendere una fortuna“, ha detto Ducruet. Insomma, una sorta di Crowdfunding (o financement participatif, che i francesi hanno l’allergia all’inglese).
La formula è spiegata sul sito della squadra (che non c’è ancora): “Ci sono 4 livelli, uno a 750eu per i piccoli negozi che vogliono far parte del progetto, ma non hanno i mezzi, uno a 1500eu, che è il più scelto, uno a 5000eu ed uno a 15000eu. L’impegno è di 1 anno. L’idea è di far crescere il collettivo ogni anno e permettere ai partner di scendere di un livello in caso di difficoltà. E’ anche disponibile un abbonamento mensile.
Ad oggi i partner sono circa 300, la strada quindi è ancora lunga per il Tour de France, che però è l’obiettivo esplicito per il 2030 come spiega sempre Ducruet: “vogliamo creare una squadra femminile ed una maschile dal 2026. L’obiettivo è di arrivare a 4,5 milioni di budget con un ticket medio a 1500eu. Questo ci servirebbe per avere delle buone prospettive. In ogni caso servono almeno 3 milioni, quindi serono almeno 3000 partner per permettere di assumere 12 corridori per squadra. Se non ce la faremo lanceremo solo la squadra femminile“.
In tutto questo Lavenu gioca un ruolo fondamentale essendo un uomo che è nell’ambiente da 40 anni con le relative conoscenze nel settore, che servono sia per trovare partner tecnici avendo un riferimento di garanzia, sia per trovare staff e corridori. Anche se questi ultimi non mancano: “il ciclismo è uno sport precario, e non poca gente ci ha contattati. Abbiamo delle candidature che non stanno in piedi, ma anche molto serie di corridori che sono già in altre squadre fino alla fine del 2025, ma cercano un piano B. Abbiamo la fortuna di vivere in un territorio dove molti corridori vivono anno per anno“.
Il traguardo ultimo sarebbe appunto quello massimo, ovvero il Tour de France, e per arrivarci il modo è già visibile sulle maglie che si possono vedere sul sito, ovvero con migliaia di nomi stampati sopra, dato che per arrivare al Tour Ducruet calcola che serviranno 10.000 partner con un biglietto di ingresso a 2000eu per arrivare a 20 milioni di euro, ovvero circa il budget di una squadra come la Arkéa-B&B Hotels.
Obiettivo (molto) ambizioso, ma il progetto è da seguire, con simpatia, se siete Boomer.
*il licenziamento di Lavenu, non c’è niente di ufficiale, ma sembrerebbe sia dovuto alla (cattiva, secondo i dirigenti di Decathlon) gestione del caso di anomalie nel passaporto biologico di Franck Bonnamour, che Lavenu non avrebbe trattato tempestivamente ed informando i dirigenti. Lavenu, non d’accordo, sarebbe in causa con gli stessi.
Mi ricorda un po' gli influencer, intanto li paghiamo e pazienza se non esiste il modo di misurare il ROI.
in molti sport ci sono sponsor che nemmeno compaiono sulle maglie da gioco. sono solo partner.
al contrario, ad esempio nel volley, ogni sponsor finisce sulla maglia. ad esempio perugia la piu forte squadra italiana e tra le piu forti del mondo avra almeno 50 sponsor sulla maglia che nemmeno si vedono..... ma chi li legge? chi li guarda? io faccio fatica a credere che ci possa essere un ritorno d'immagine da uno sponsor grosso come una moneta buttato su una maglia....