Il doping tecnologico, nome scientifico per “barare col motorino nascosto nella bici”, è spesso liquidato come fantasia impossibile, chiacchiere per chi vuol solo gettare del marcio sul già bistrattato mondo del ciclismo. Gli avvistamenti o presunti tali vengono bollati come miraggi di invidiosi.
La Gazzetta dello Sport riferisce di un caso piuttosto imbarazzante tuttavia, avvenuto alla terza prova del Criterium Portogruarese, in Veneto, gara Acsi riservata alla categoria gentleman.
Riportiamo dal suddetto articolo:
“Il gruppo si rivolta, chiede agli organizzatori di controllare due bici sospette. È da troppo tempo che, sempre secondo il gruppo, ci sono quei due corridori che barano. Che vanno in moto. La gara si conclude e all’8° posto finisce Alessandro Fantin del Gs Vinal. Si scatena la rivolta. “I corridori erano inferociti – racconta Lorenzo De Luca, presidente del gruppo sportivo organizzatore – perché Fantin e un altro erano tenuti d’occhio da tempo perché accusati di usare la bici truccata. A fine gara abbiamo fermato i due e chiesto di controllare le loro bici. Si sono rifiutati. A quel punto noi abbiamo chiamato i carabinieri affinché le verifiche fossero fatte da autorità competenti. Niente da fare, questi due sono saltati alla svelta sul furgone e, nonostante gli altri ciclisti avessero fatto di tutto per trattenerli, per non farli andare via, sono fuggiti poco prima dell’arrivo dei militari. È una vergogna ma noi, come organizzatori, più di così non potevamo fare, anche se si vedeva che sul manubrio c’era un bottone. Mi spiace, ma l’unica cosa che abbiamo potuto fare è toglierli dall’ordine d’arrivo”
Ricordiamo che l’unico caso di doping tecnologico in ambito professionistico confermato resta quello di Femke Van den Driessche ai campionati del mondo di ciclocross di Zolder 2016. Mentre in ambito amatoriale il caso di Cyril Fontaine, corridore di 3^ categoria francese. Squalificato 5 anni per frode tecnologica.
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