La cadenza, alcune considerazioni dal punto di vista della fisiologia

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Se un podista vuole incrementare la propria velocità può agire incrementando la falcata e/o la velocità dei passi. Nel ciclismo l’aspetto è più complesso vista la presenza di un mezzo meccanico e dei rapporti del cambio: per incrementare la propria velocità si deve usare un rapporto più lungo e/o aumentare la propria cadenza.
Come dimostrato da alcune ricerche -e dalla quotidianità di chi “apprezza” tipologie di carico a basse rpm- 45-50 rpm rappresentano per molti un’azione di comfort ad intensità medio-blande, questo per il fatto che rappresenta una ritmica vicina a quella di una classica camminata a ritmo neutro.
All’aumentare della potenza (forza * velocità) e quindi ad un incremento della prestazione, corrispondono cadenze superiori, un intervallo di 70-100 rpm rappresenta la norma in cui lo spettro inferiore di valori, in pianura, sono spesso mantenuti come cadenza “autoscelta” da atleti di medio basso livello mentre viceversa i valori più sostenuti sono utilizzati da chi esprime una potenza superiore, anche in salita. Questi valori, si intende, come espressione di potenza e cadenza in funzione di un ritmo sostenuto, non un’agilità “a vuoto”, anche essa spesso abusata.
In pista i valori sono ancora più sostenuti e 110 rpm sono la norma nell’inseguimento e 130-140 rpm nelle specialità ancora più brevi; ovviamente queste elevate cadenze sono inversamente proporzionali alla durata dello sforzo poiché 1) aumenta il costo energetico causato dal meccanismo anaerobico (tipico di queste azioni e della loro breve durata) e/o dall’uso di più sistemi con apporto misto (es. inseguimento) e 2) aumenta la resistenza interna a livello delle fibre muscolari.
A livello soggettivo la scelta di una cadenza “confortevole”, e quindi avulsa da specifici richiami di coppia torcente, è funzione di alcuni aspetti: lunghezza degli arti inferiori, distribuzione delle tipologie di fibre muscolari, abitudine e reclutamento/capacità di coordinazione tra gruppi muscolari agonisti ed antagonisti.
C’è un vantaggio nel mantenere e/o allenare una cadenza SUPERIORE a quella a cui siamo abituati?
Indubbiamente sì poiché la velocità di contrazione (e rilascio) delle fibre muscolari è un fattore NEUROMUSCOLARE allenabile, così come altre capacità condizionali. La peculiarità di questo fattore è che combina sia elementi condizionali (forza e resistenza) che soprattutto capacità coordinative e quindi neuro-muscolari.
Se per esempio si è abituati a pedalare in una determinata situazione sempre a 80 rpm (es. tratto in pianura) lo schema motorio di attivazione/rilassamento muscolare è ben abituato a questo ritmo. A parità di potenza, allungare il rapporto (< cadenza) aumenterebbe lo stress a livello muscolare oltre a indurre ad un’azione con tempi più prolungati nella fase  di ritorno del pedale. Sempre a parità di potenza, ridurre il rapporto (es. portandosi a 85 rpm) può portare ad un beneficio poiché ci si abitua a produrre una stessa potenza con un minor reclutamento di fibre veloci (meno economiche dal punto di vista dell’utilizzo di substrati energetici, più velocemente propense all’esaurimento/accumulo di fatica). Incrementare la velocità di contrazione è fisiologicamente più semplice ed allenabile nonché efficiente rispetto al poter incrementare  la forza esprimibile ad ogni contrazione; una volta acquisito il nuovo schema motorio -ribadisco però, NON AD INTENSITA’ blande- questo sarà poi mantenibile.

Come si pedala? Durante la pedalata il picco di forza è applicato (con una variabilità soggettiva legata agli aspetti sopra elencati) con la pedivella parallela al terreno  o appena oltre tale punto (identificabile con l’andamento della coppia torcente/max componente vettoriale utile di spinta, es. mediante analisi pedalata Wattbike) poiché in questo punto intervengono le azioni concentriche di gamba (anatomicamente:  gemelli e soleo, con un supporto di controllo del piede più che una vera azione propulsiva), e del grande gluteo. Il quadricipite entra in funzione con una contrazione successiva al superamento di questo punto. In tutta l’azione della pedalata vi sono componenti di co-contrazione più o meno marcate a seconda dell’efficienza dell’atleta (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18539044).

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Fig.1 modello teorico e semplificato dei distretti muscolari attivati durante la pedalata. E’ comunque sempre presente una componente di co-contrazione anche da parte degli antagonisti per alcune porzioni di rivoluzione (360°)

 

Nella fase di ritorno il muscolo tibiale anteriore svolge un ruolo di sollevamento del piede e conseguente riduzione dell’inerzia dell’arto nella fase non propulsiva. In tal senso un’altezza sella troppo marcata può creare un problema nel mantenimento di una cadenza superiore a quanto siamo abituati perché l’azione della caviglia viene limitata con un eccesso di estensione dell’articolazione tibio-tarsica. Non è un caso che appunto nelle specialità in pista gli atleti prediligano invece altezze sella inferiori rispetto ad altre specialità (es. cronometro). Questa tendenza è ora presente e spesso visibile in alcuni atleti anche nell’attività su strada rispetto ad una tendenza opposta negli anni precedenti.

Ognuno di noi poi ha un bagaglio (geneticamente predefinito, difficilmente modificabile con l’allenamento, tranne alcune eccezioni) di distribuzione delle fibre muscolari.
Atleti esplosivi hanno una proporzione maggiore di fibre veloci mentre viceversa atleti di “endurance” sono più dotati di fibre di tipo lento. Le fibre veloci possono produrre rapidi e/o più intensi valori di forza, contrazioni più intense MA per brevi periodi (motivo per cui una bassa cadenza accoppiata ad una bassa intensità è, generalmente, poco allenante nell’ambito della forza esprimibile nel gesto della pedalata).
All’opposto le fibre di tipo lento sono in grado di generare forze di media bassa intensità (anche 5x meno delle fibre veloci) ma per periodi prolungati.

 

Nel mezzo tra questi due “estremi” si interpongono le fibre veloci di tipo ossidativo (IIb o IIx), allenabili poiché possono essere portate ad avere più le caratteristiche di quelle veloci o di quelle lente: in particolare lavori ad elevata cadenza E intensità comportano un miglioramento nell’adattamento di queste fibre a generare picchi di forza superiori e archi più prolungati di spinta effettiva. Fisiologicamente quindi anche un lavoro ad alta intensità di carico (es Z5) non ha molto senso se utilizzato a basse cadenze (ipotizzando un incremento del valore forza); chi propende per questo approccio applica un puro e semplice calcolo FISICO senza considerare le implicazioni fisiologiche di reclutamento delle fibre muscolari e la loro capacità di essere allenate. L’obiettivo di carico con target incremento delle capacità aerobiche è infatti quello di massimizzare reclutamento ed efficienza delle fibre di tipo I e IIx.

Dott. Massa Roberto

massarob.info

operatore sportivo, allenatore, preparatore atletico, coach
Laureato in Scienze Motorie – Sport & personal trainer
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