33 Tour di doping: Gino Bartali

Dopo il Tour 1947 vinto da Jean Robic passiamo a quello del 1948.

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Gino Bartali (1914-2000), se non fosse sopraggiunta la 2^ guerra mondiale potrebbe essere ancora oggi uno dei ciclisti più titolati di tutti i tempi, vittorie al Tour de France comprese. Basti pensare che i suoi due Tour li vinse a distanza di 10 anni l’uno dall’altro: 1938 e 1948.

Dieci anni in cui le sostanze consumate dal gruppo erano e sono ben note: alcol, caffeina, etere, stricnina e soprattutto amfetamine. E verso la fine degli anni ’40 cominciavano a farsi largo pure la Fendimetrazina, stimolante anoressizzante, ovvero “taglia fame”, ma senza le controindicazioni delle amfetamine (insonnia).

Ebbene, rispetto a tutto ciò è il nostro Bartali stesso a dirci come si poneva, ammettendo l’uso di amfetamine in una sola occasione, “per fare come gli altri”, durante i campionati del mondo di Moorslede del 1950. La testimonianza la diede in un’intervista al giornale Sport et Vie, n°19, del Dicembre 1957, p. 11:

“La sola volta che ho preso una droga, per fare come gli altri, è stato in Belgio in un campionato del mondo. Sono stato così male che non le ho più prese (-amfetamine- ndr-). Invece ho sempre avuto l’impressione che una sigaretta mi predisponesse bene agli sforzi. Ma quello che va bene per uno, magari può essere male per l’altro”.

La testimonianza di Bartali si riassume quindi nel “piccolo peccato” di ammettere di essersi dopato, ma che non avendo funzionato, anzi, avendolo fatto stare male, non gli avrebbe dato nessun vantaggio.

Di avviso diverso è Raphael Geminiani, “il gran fucile”, che nel suo libro “Mes quatres vérités” (ed. Jacob-Duvernet, 1982) prima si indigna della solita ipocrisia: “Mi stupisce che gente perfettamente informata delle pratiche extra-medicali in uso nel gruppo da lustri si indigni oggi, ed oggi solamente della loro esistenza. Perché oggi invece che domani e soprattutto ieri? Siamo diventati tutto d’un colpo interessanti?”

E poi racconta l’aneddoto:

“Mi ricordo che nel Tour del 1948 si era già parlato di una bevanda misteriosa data a Bartali da Binda sulle Alpi se ricordo bene, quindi si sapeva già…”

Un po’ scarsa e poco documentata come testimonianza per valere come prova (tanto più che Bartali e Geminiani hanno sempre corso da avversari), ma che rende l’idea che fosse un po’ strano che Bartali, che pur ammetteva che tutti gli altri lo facessero, fosse immune da certe pratiche o che su di lui non facessero effetto.

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Di sicuro, se credeva che facessero male o non avessero effetto per se, non lo credeva per gli altri. In particolare per il suo rivale Fausto Coppi. Ed è sempre Bartali a parlare raccontando un aneddotto pure divertente:

Su tutto quello che era novità medica per quanto riguarda ricostituenti, energetici e disintossicanti Coppi ci si buttava subito. Ma siccome non ne parlava con nessuno ho dovuto far tutto da solo per scoprirli. Ecco come facevo le mie indagini. Primo: alloggiavo sempre nel suo stesso hotel e mi facevo dare una camera vicina alla sua per sorvegliarlo. Cosa non facile per via della nostra rivalità, tanto che non dividevamo la camera nemmeno al Tour (che si correva per nazioni all’epoca, quindi di fatto, erano compagni di squadra al Tour ndr-). Fausto divideva la stanza solo coi fedelissimi: Mario Ricci, Ettore Milano o suo fratello Serse. I nostri contatti erano limitati agli incontri nei corridoi dell’hotel, una stretta di mano e qualche commento alla tappa.

La fase attiva della mia indagine cominciava dieci minuti prima della corsa. Attendevo la sua partenza dalla stanza, in cui poi mi introducevo e perquisivo cassetti e cestini. Prendevo su tutto: flaconi, bottiglie, tubetti, scatole, supposte…ero diventato così esperto in farmacia che potevo interpretare il comportamento in corsa di Coppi ancora prima della tappa. Deducevo dai prodotti dove e come mi avrebbe attaccato.

“La gran difficoltà “dell’operazione spazzatura” stava nel fatto che Fausto lasciava la stanza sempre all’ultimo momento, lasciandomi solo qualche secondo per rovistare e poi presentarmi alla partenza. “Ancora in ritardo! Sempre in ritardo!” mi diceva il commissario, mentre firmavo il foglio di via con la mano tremante ed il fiatone. E mi appioppava sempre una multa. Multa che però pagavo volentieri visto che ero largamente ripagato dalle mie scoperte” (“Fausto Coppi et moi”, intervista apparsa su Les Miroirs des Sports, n°793, 11 Aprile 1960, pp. 12)

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Racconti divertenti e da buon toscanaccio com’era Bartali? Forse, ma danno un po’ l’idea che il clima in gruppo stava cambiando, e non si trattava più solo di buttare giù l’impossibile per sopportare le fatiche improbe del ciclismo eroico di inizio secolo. L’uso di “ricostituenti” si stava evolvendo, con un’attenzione più “scientifica” da parte di alcuni corridori e con un cambio di mentalità decisivo per tutto l’ambiente.

Alla fine del 1954, Bartali, all’età di 40 anni mise termine alla sua lunga carriera e divenne giornalista. Ed in accordo con la sua personalità, non si fece mancare un lato moralizzatore. Ben riassunto in questo suo commento alla 6^ tappa del Tour 1959 (Blain-Nantes):

Per me tutti i “grandi” si sono dopati in questa cronometro. E’ impossibile correre a 48km/h di media su un percorso di 45km senza aver preso la “bottiglietta”. L’uomo è come il motore di un’automobile, e non si può chiedergli di andare al massimo dalla partenza conservando un ritmo eccessivamente elevato per 48 km. Un motore freddo non ha lo stesso rendimento di un motore caldo, che diavolo! Senza metodi non-naturali è impossibile realizzare certe medie. Se avessi corso ancora, oggi, avrei perso da 4 a 5 minuti.” (Commento riportato su Les Sports de Bruxelles, n° 42, Agosto 1959, p.29)

A questo commento però si aggiunse quello del cronista che lo raccolse e riportò nel giornale:

Perbacco Gino, è vero, a te bastava spingere sui pedali per vincere…

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