Nella stagione che si è appena aperta, come noto, e come già da un bel po’ di tempo, non ci sono squadre italiane di livello World Tour. L’ultima squadra a licenza italiana nel WT è stata la Lampre-Merida nella stagione 2016. Poi la squadra ha venduto la licenza e si è trasformata nella UAE-Emirates, che ora ha licenza degli Emirati Arabi e gestione svizzera.
Dieci anni fa le squadre WT italiane erano 2: la Lampre-Merida e la Cannondale. Se andiamo indietro di altri dieci anni la situazione era decisamente diversa, dato che nel 2004 le squadre tricolori erano ben 6: Alessio-Bianchi, De Nardi, Fassa Bortolo, Lampre, Saeco, Vini Caldirola; e ben 7 erano le squadre ProTeam.
Le squadre francesi erano 6 al massimo livello, 5 le belghe e le spagnole. Nel 2014 le francesi erano diventate 3, dimezzate; le belghe 2 e le spagnole 1. Dieci anni dopo, cioè oggi, questa situazione è rimasta invariata, a parte, appunto, la sparizione delle squadre italiane, che rimangono presenti solo a livello ProTeam con Polti-Kometa, VF-Group-Bardiani e Corratec.
Se la situazione squadre pare piuttosto sconfortante in realtà nel gruppo la situazione riflette ancora un ciclismo professionistico molto eurocentrico: considerando sia le squadre WT che Pro (919 corridori totali) la maggioranza dei corridori sono di nazionalità belga, ben 128, seguiti dagli italiani, 116, e dagli spagnoli, 112; quindi i francesi 109, olandesi 63, britannici 47, tedeschi 41 e danesi, 43, i quali sono nello stesso numero degli australiani, primi non europei per numero.
Nel 2004 hanno ottenuto punti a livello WT corridori di 43 nazionalità differenti (85 considerando anche le gare inferiori); nel 2014 sono diventate 50 (101); per poi esplodere negli ultimi anni, con 71 corridori di nazionalità diverse a raccogliere punti WT nel 2023, e 134 in tutte le varie gare pro.
Insomma, negli ultimi 10 anni in particolare il ciclismo pro si è globalizzato, anche se la maggioranza dei corridori resta comunque proveniente dai paesi con più forte tradizione ciclistica: Belgio, Italia, Spagna e Francia. Con il Belgio a farla da padrone se si considera che la sua popolazione è di 11,5 milioni di abitanti, contro i 59 dell’Italia, 47 delle Spagna e 67 della Francia.
Altro trend evidente è l’età media sempre più bassa dei corridori. Quest’anno a farla da padroni in gruppo WT sono i 27enni, con 43 corridori, ma seguiti molto da vicino dai 21enni, che sono ben 42.
Nel 2014 c’era solo un corridore in gruppo sotto i 20 anni: Matej Mohoric (che ne aveva 19). Quest’anno sono 10, con anche tre 18enni. Nel 2004 i corridori sotto i 20 anni erano 4, ma sotto i 21 erano in 10, contro i 14 del 2004 ed i 27 del 2024.
Ma non basta solo contarli, è evidente che i giovani ora siano da subito pronti per competere al più alto livello. Basti pensare che delle 2 gare WT corse fino ad oggi una è stata vinta da Laurence Pithie di 21 anni, ma ci sono state anche le vittorie di Paul Magnier, 19 anni, Lennert van Eetvelt, 22 anni e Pelayio Sanchez, 23 anni sulle 9 gare che si sono corse fin qui in Europa (altre tre sono state vinte da 25 enni e solo due da 30enni).
Nel 2014 le vittorie nelle prime 10 gare europee sono appannaggio di corridori mediamente sui 26 anni, con due vittorie di 23enni; mentre nel 2004 l’età media sale quasi verso i 30, con un solo giovane vittorioso (Valverde).
In questa situazione i giovani corridori sono quindi costretti spesso ad emigrare all’estero, ed i motivi sono a questo punto facilmente comprensibili. Innanzitutto la mancanza di squadre WT italiane, ma come si vede non è tanto diverso anche per belgi e francesi, che, pur componendo la maggioranza del gruppo, non possono essere ovviamente tutti assorbiti dalle 5 squadre dei loro paesi.
In particolare alcuni corridori francesi hanno lamentato che nel loro paese le squadre professionistiche reclutano ancora molto sulla base dei risultati, mentre all’estero danno più “fiducia” e sono più pazienti, come confermato ad esempio da Mathys Rondel, 20enne francese che ha avuto solo qualche offerta da squadre U23 francesi, ma non troppo convinte vista la mancanza di risultati in gara, per poi essere messo sotto contratto dalla Tudor U23 dopo uno stage, ed aver ripagato poi la fiducia con buoni risultati (6° al Tour de l’Avenir, 2° al Tour d’Alsace, etc..) tanto da essere stato poi bloccato con un contratto sino al 2027, con il debutto in prima squadra programmato per il 2025.
Stessa cosa successa a Paul Magnier, il quale è stato invitato a degli stages dalla Soudal l’anno scorso, dove ha potuto correre spalla a spalla con campioni affermati. Magnier ha raccontato a l’Equipe di come sia stato subito preso sotto l’ala protettrice del connazionale Alaphilippe, il quale lo ha introdotto alla squadra e lo staff e gli inviava anche messaggi di buon auspicio quando Magnier ha avuto la mononucleosi sempre l’anno scorso. Come lo stesso Magnier ha confermato poter contare sul supporto di un corridore dell’esperienza e del calibro del due volte campione del mondo a 18 anni fa la differenza. “Quando vedi da vicino Remco effettuare i suoi test o vedere la velocità a cui va….ti si illuminano gli occhi” ha raccontato Magnier.
Cosa confermata anche da altri giovani, come il talento Axel Laurence, campione del mondo U23 a Glasgow, che ha avuto le stesse parole nell’aver potuto allenarsi ad età junior con “una locomotiva” come Mathieu van der Poel. E’ chiaro che per corridori cosi giovani poter vedere da vicino ed addirittura allenarsi con campioni di prima fascia acceleri fortemente il loro sviluppo, considerando anche che li hanno a disposizione per imparare, chiedendo consigli.
Il tutto poi in strutture che ormai sono macchine super-organizzate ad alto livello, dove nessuno deve semplicemente fare la gavetta portando borracce. Compagno di squadra di Magnier, Antoine Huby, 23 anni, ha raccontato dello shock nel passare dalla Vendée U (squadra sviluppo della TotalEnergies) alla Soudal, quando l’anno scorso ha preso parte ad un loro stage: “Mi hanno invitato a dicembre ed eravamo in totale 110 corridori compresa la squadra femminile, con 10 fisioterapisti, 10 meccanici, non so quanti nutrizionisti… nelle altre squadre a volte va bene con due o tre meccanici… Lo staff poi ama quello che fa, non ha orari fissi, se deve lavorare fino alle 22 per aiutare i corridori, lo fanno. È impressionante“.
Lo stesso Axel Laurance poi mette in evidenza un altro aspetto. Passato dalla fallita B&B Hotels alla Alpecin-Deceuninck ha notato che: “Alla B&B c’erano molte persone che lavoravano alla comunicazione, forse cinque o sei. Alla Alpecin ce ne sono solo una o due, l’intero budget è destinato alla performance piuttosto che alla comunicazione. C’è anche una filosofia un po’ più scientifica, basata sulla ricerca, sui dati… Durante lo stage abbiamo fatto un test del sudore, non sapevo nemmeno esistesse. In Francia penso che siamo più per le cose “vecchia scuola”, mentre nello staff delle squadre straniere ci sono molte persone che non provengono necessariamente da un background ciclistico“.
Tutti questi giovani poi sono concordi che l’approccio di queste grandi squadre coi giovani è si di farli correre da subito ad alto livello, ma senza pressione per i risultati. Il fatto che negli staff ci siano anche degli psicologi serve proprio a bilanciare la giusta pressione senza però “bruciare” subito questi talenti, che come si vede vengono messi sotto contratti di lunga durata: da 3 a 5 anni e più.
Insomma, il quadro dei cambiamenti in atto nel ciclismo è abbastanza delineato e conferma quello che poi si vede su strada.
Il fatto che non ci siano squadre world tour in Italia secondo me non è un problema, siamo obsoleti e prima o poi qualcuno ci metterà dei soldi ma la metodologia deve cambiare così come emerge dall'articolo.
Per fortuna i ciclisti italiani (numericamente) ci sono ancora e prima o poi (per i patriottici) il campione uscirà. A me piace il ciclismo, con qualsiasi bandiera.