La tappa più lunga del Tour de France si è corsa ripetutamente dall’edizione 1919 a quella 1924, era la mitica Les Sables d’Olonne – Bayonne di 482km. Già dalla prima edizione la tappa è stata definita “estremamente monotona”, seppur con la vittoria allo sprint del francese Jean Alavoine in 18h 54′ 7″.
Quella più lunga del Giro d’Italia fu la famosa Lucca-Roma, di 430,3 km, nell’edizione del 1914. Con vittoria di Costante Girardengo in 17 ore e 29 minuti (per la disperazione del povero Lauro Bordin che partito in fuga ai 50km, stette solitario per 14h).
La tappa più lunga della storia della Vuelta España è stata, nelle prime edizioni dal 1935 al 1945, la Barcelona-Zaragoza di 310km, ma le tappe alla Vuelta sono sempre state più corte, privilegiando da subito il dislivello.
Ad ogni modo i grandi giri più lunghi nel complesso sono stati la Vuelta 1941: 4455km; Il Giro 1954: 4337km ed il Tour 1926 con 5745 km.
Nel tempo la tendenza è stata quella di accorciare progressivamente la lunghezza complessiva dei GT, accorciandone le tappe e rendendole meno numerose (i primi Tour constavano di 6 tappe, con 3 giorni di riposo tra ogni tappa). Sia per una questione di sicurezza e salute dei corridori (che partivano, e qualche volta arrivavano, di notte, su strade non asfaltate e non presidiate, arrivando sfiniti), sia, più avanti per esigenze radio-televisive in quanto tappe di 10-15h erano impossibili da commentare, e nulle dal punto di vista dello “spettacolo”.
Oggi, forse molti non lo sanno, il regolamento UCI per i GT prevede al massimo 8 tappe superiori ai 200km per ogni GT, con un tetto massimo di 260km per una singola tappa. Stranezza però è che non c’è alcun limite al dislivello, che, altra cosa strana, non viene mai menzionato ufficialmente nelle presentazioni dei GT. Chiaramente una tappa piatta di 260km non è la stessa cosa di una tappa di 16okm con 5000mt di dislivello, ma evidentemente al pubblico generalista non interessa.
La tendenza in ogni caso è all’accorciamento delle tappe, soprattutto per esigenze televisive, con gli organizzatori preoccupati di evitare telecronache-fiume per ore ed ore da riempire con la buona volontà dei telecronisti più che con le azioni dei corridori.
Chiaramente la distanza è una parte fondamentale di uno sport di Endurance come il ciclismo, ma il trend è chiaro: ad esempio il Tour de France si è accorciato negli ultimi 30 anni di circa 500km, assestandosi oggi attorno ai 3400-3500km totali. Nel corso degli anni si sono anche viste tappe piuttosto corte, con la Vuelta a fare da apripista, come nel 2016, con la 15^tappa, la Sabinanigo-Aramon Formigal, di 118,5km, vinta da Gianluca Brambilla in poco meno di 3h, ma con ben 91 corridori che l’organizzatore ha dovuto ripescare perché finiti fuori tempo massimo in una tappa di montagna corsa a velocità-razzo grazie ad un attacco dalla partenza di Alberto Contador.
Il Tour de France ha rilanciato nel 2018, con la 17^tappa, di soli 65km, tra Bagnères-de-Luchon e Saint-Lary-Soulan, con 3 salite secche che Nairo Quintana vinse in 2h21’27”. Ad oggi la tappa più corta della storia del Tour, se si fa eccezione della 9^ tappa di 46km del 1996, tra Le Monêtier-les-Bains e Sestriere, che fu però accorciata all’ultimo minuto rispetto i 190km previsti per via delle condizioni meteo che rendevano impraticabili Iseran e Galibier (vincitore Bjarne Riis).
Oggi le tappe molto lunghe, in particolare in pianura, vengono viste come fumo negli occhi dagli organizzatori, in quanto noiose per le lunghe telecronache, ma anche per quello che vi succede, che spesso è….niente, o perlomeno quello che oggi è considerato “niente”. Nel ciclismo di oggi le sorprese sono molto molto rare, con i corridori ben preparati sui percorsi e continuamente aggiornati via radio dalle ammiraglie su ogni ostacolo ed imprevisto. Grazie ai computerini ed i misuratori di potenza possono alimentarsi e bere a cadenza regolare in base al proprio consumo calorico evitando “cotte”, e soprattutto, ogni squadra può ormai contare su gregari che si possono velocemente organizzare per aumentare l’andatura a piacere, rendendo ogni fuga pressoché impossibile, a meno di grandi distrazioni o disinteresse completo rispetto al possibile vincitore di tappa.
Questa nuova tendenza ha avuto chiaramente un grosso impatto sulle dinamiche di gara e sul privilegiare alcune tipologie di corridori. La combinazione di tappe corte, ma con grandi dislivelli corse a velocità elevatissime ha portato a rendere gli scalatori i capitani privilegiati ed a limitare fortemente gli sprinter “puri”, grossi e pesanti. Oggi gli sprinter sono tendenzialmente più piccoli e compatti rispetto il passato, molto più a loro agio in salita. E soprattutto difficilmente hanno intere squadre a loro disposizione nei GT (con le squadre ridotte anche di numero), tranne in alcuni rari casi. Significativo il fuori tempo massimo di Marcel Kittel al Tour 2018. Un corridore che oggi farebbe molta fatica a vincere come in passato e così un Mario Cipollini (26 tappe vinte al Tour, 77 complessive nei GT in 2).
Infine, categoria tra le più penalizzate i cronoman, in quanto le cronometro individuali (ed a squadre) sono state grandemente accorciate, e pure loro infarcite di salite, in quanto anche questa disciplina è considerata poco “televisiva”, senza lo scontro diretto, e costringendo il pubblico a doversi concentrare sui distacchi, con le sole classifiche in grafica a visualizzare l’andamento della gara. Evidentemente tutto troppo “teorico” per il pubblico generalista moderno.
Anche qui le regole UCI danno dei limiti, che sono di 60km max per una cronometro individuale durante una corsa a tappe. Impossibile rivedere cronometro lunghe, come quella di 139km, 20^tappa del Tour 1947, tra Vannes e Saint Brieuc, vinta da Raymond Impanis. O i 229km di cronometro individuale complessivi al Tour 1949, che oggi metterebbero fortemente in lizza per la vittoria finale un Filippo Ganna o un Rohan Dennis (che ha vinto l’unica crono di 14km dell’edizione 2015) o Wout Van Aert. Gente che invece oggi è specializzata solo nella vittoria di qualche tappa e nel tenere al riparo i propri capitani in pianura. Ma anche mostri sacri come Coppi, Anquetil e Indurain oggi farebbero fatica a vincere un GT.
Insomma, il futuro dei GT è quello di essere più corti e veloci? Probabilmente si. È la via indicata da Patrick Lefévère della Deceuninck–Quick-Step in uno sfogo dopo la 19^tappa del Giro 2020, la Morbegno-Asti, poi accorciata dopo la famosa protesta dei corridori: “…le tappe del Giro sono troppo lunghe. La gente non guarda tappe cosi lunghe. Il ciclismo moderno è un’altra cosa. Il ciclismo moderno non è più 21 tappe, ma 16 o 17, ma anche 15 bastano, no?“.
E Lefévère ha dalla sua tutta una tendenza tipica dei giorni attuali, come ad esempio la proposta di Novak Djokovic, n°1 del tennis mondiale, di abolire le partite con vittoria in 3 set, a favore di vittorie in 2 set, per renderle più digeribili ad un pubblico ormai assuefatto ai soli highlights delle partite, a notizie riportate e condensate in poche righe, di cui spesso legge solo il titolo (che infatti sono diventati fondamentali e sempre più oggetto di critica quando non riassumono efficacemente).
Insomma un pubblico che va di fretta e che esige che lo sport si adegui, con tappe lampo e “spettacolo” tutto e subito, pena il cambiare canale o cliccare su un’altra delle n finestre aperte sul Pc.
Sono i tempi moderni. E speriamo di aver scelto bene il titolo.
Il miglior Froome, il miglior Contador, credo vincerebbero tanto un GT di quelli vinti da Indurain come ne vincerebbero uno tipo quello di Bernal 2019. Credo che Coppi sia di quel tipo di corridore. Poi ovvio, parliamo di uno che ha corso 60 anni fa, quindi magari a fianco dei mezzi fisici non avrebbe mai avuto la testa per sopportare lo stress totalizzante odierno e quindi non avrebbe vinto nulla (è un esempio).