I 10 (+1) errori più comuni nell’attività di resistenza/endurance (ciclismo in particolare)

Il titolo di questo articolo può sembrare un po’ fuorviante, ci sono ovviamente più di undici errori di cui si possono “macchiare” gli atleti, ma quelli elencati di seguito rappresentano quelli che, per esperienza diretta e indiretta, sono i più comuni. Alcuni di questi possono sembrare banali ed ovvi, ma è sorprendente il numero di atleti che trascurano le basi e si (o mi) domandano perché la loro performance non è all’altezza delle proprie aspettative (spesso non commisurate al proprio reale potenziale). Leggi attentamente la descrizione di ciascuno di questi errori: almeno alcuni tra essi saranno familiari, e, tieni a mente, non c’è nulla di sbagliato nel commettere errori, è umano. Il perseverare negli errori è sbagliato.

 1. Sopravvalutare i prodotti di nutrizione sportiva.

Non si può negare che la nutrizione sportiva intesa come industria e ricerca sta subendo un discreto sviluppo. La consapevolezza generale che l’atleta di qualsiasi livello sia alla ricerca di ogni miglioramento sul fronte delle prestazioni, insieme a pubblicità e marketing, rende questo un settore ancora in forte crescita, anche nelle vendite. Tuttavia, spesso nell’atleta amatoriale i prodotti di nutrizione sportiva sono visti come una scorciatoia nel riempire i vuoti lasciati da una cattiva nutrizione generale. Nel peggiore dei casi, questi prodotti sono anche visti come parte dell’identità di essere un atleta – esempio  la bevanda di recupero dopo gara DEVE essere di una determinata marca altrimenti “non funziona”.

Non vi è alcun sostituto per ottenere una corretta alimentazione se non innanzitutto una dieta sana e utilizzare integratori come previsto, cioè per il loro semplice e basilare scopo, cioè come integratori! Non c’è nulla di male nei prodotti di nutrizione sportiva di per sé: evitare l’abuso di essi è il principio che l’atleta deve acquisire ma che sovente manca.

2. Alimentazione e assunzione di liquidi inadeguata

Molti atleti, specie con temperature ridotte, tornano a casa senza magari aver bevuto neppure un sorso. Nel momento in cui ci sentiamo assetati, è GIA’ troppo tardi per idratarsi. La disidratazione può causare crampi muscolari, frequenza cardiaca elevata (riduzione volume plasma sanguigno) e aumento del tasso di utilizzo di glicogeno muscolare con conseguente diminuzione nella capacità di produrre energia e quindi netto decadimento della performance. Quanto si dovrebbe bere? All’incirca una quantità compresa tra 400-500 ml/ora, e questo sarà sufficiente a soddisfare le esigenze di idratazione della maggior parte degli atleti nella maggior parte delle condizioni. A temperature superiori avrai bisogno di quantità superiori. Non è raro per l’atleta trascurare l’idratazione durante i mesi invernali: tuttavia c’è una maggior dissipazione di vapore a livello di prime vie respiratorie e i tassi di sudorazione incrementano con indumenti termici. Una buona abitudine è quella di pesarsi prima e dopo la sessione di allenamento – il differenziale rappresenta una buona stima dei liquidi persi dal nostro organismo. Come suggerimento di reintegro: cerca di bere -nell’arco delle successive 12h- circa il 120-150% del peso perso, il volume supplementare è necessario in quanto il corpo non sarà totalmente efficiente a recuperare tutti i liquidi persi.

Alimentazione: attendere un calo di intensità nella prestazione, o anche sentire la fame (e succede!) è già troppo tardi per non compromettere (o aver compromesso) le riserve di glicogeno muscolari ed epatiche. ‘La cotta’ non è una bella esperienza e colpisce, nella sua fase acuta, non solo la seduta di allenamento/gara, ma compromette recupero e prestazione nei giorni a seguire. 1) mantieni un livello costante e ripetuto di apporto energetico, integrare solo nella seconda parte di uscita/gara è troppo tardi 2) sii particolarmente vigile in sessioni che coinvolgono zone di allenamento a intensità media o medio elevata (>Z3) in quanto queste intensità utilizzano in larga misura glicogeno muscolare come fonte e miscela energetica predominante. 3) ricorda che la finestra utile di reintegro post allenamento/gara è nei primi 30-45’ post attività.

3. “Taglia e cuci” sul programma di allenamento

Può sempre capitare di perdere il filo di una programmazione di allenamento: un infortunio, malattia, impegni quotidiani, imprevisti. Troppo spesso, però, l’atleta diventa ansioso di perdere la sessione: il che significa che è tentato di raddoppiare (in maniera semplicemente matematica e l’allenamento non lo è affatto…) o recuperare indistintamente ciò che non ha fatto in un dato giorno pensando di rimediare adeguatamente (spesso più per un senso di colpa). Questo evidentemente fa più male che bene ed influisce negativamente sul carico allenante successivo previsto fino a portare addirittura ad una compensazione errata con effetto di overtraining nei casi più testardi e recidivi di “taglia e cuci”.

Il miglior consiglio da dare è che se si perde una sessione di allenamento, semplicemente “tira dritto”, vai avanti. Le cause di una sessione persa/saltata inoltre potrebbero indicare che era dovuto e necessario un periodo di riposo. Nelle mie programmazioni i giorni “jolly” sono sempre previsti.

4. Non riposare abbastanza

Purtroppo, perché la nostra vita quotidiana e la società in generale opera incessantemente e spesso con ritmi che non sosteniamo adeguatamente tendiamo a rendere i nostri cicli di allenamento adattati (o spesso “incastonati”) in questo modello ed esigenze. Questo può significare che oltre a vivere “di fretta”, affrontiamo l’attività sportiva e l’allenamento con lo stesso stato d’animo. Anche se cerchiamo di dividere le nostre ore di allenamento e ritagliarci dei propri spazi, a volte ciò può risultare difficile (vedi punto sopra).

Il corpo può adattarsi agli stimoli allenanti quando il tasso metabolico è ridotto: il tessuto muscolare, in particolare, non può sostenere uno stato anabolico e catabolico al tempo stesso. L’allenamento intacca (catabolismo), mentre il recupero e la nutrizione consente la ricostruzione (anabolismo).

E’ ottimale allenarsi con buona qualità (magari in meno giorni alla settimana) che intestardirsi su un regime settimanale di volume “impostato” ma non sostenibile a lungo termine. Inoltre, se si dispone di limitato tempo per allenarsi, utilizza quelle ore saggiamente – togliendo eventuali sedute “di passeggio” e invece usa questo tempo per riposare.

Semplici concetti: poche ore di allenamento= maggior qualità dell’allenamento + recupero
Ricorda che il recupero è LA FASE FONDAMENTALE nell’allenamento e permette il raggiungimento dei tuoi obiettivi.

L’allenamento in sé fa male. L’allenamento seguito da recupero e corretta alimentazione è positivo e ti renderà pronto per l’evento che stai preparando” G. Obree

 

5. Sottovalutare gli ‘stressor‘ e il loro impatto su allenamento e prestazioni

Pochissimi atleti sono in sintonia con il proprio corpo e consapevoli di come lo stress si ripercuota su di loro: l’inusuale notte insonne o un leggero calo nella motivazione possono spesso indicare che lo stress totale è troppo alto. Spesso solo una visione retrospettiva, e quindi senza possibilità di correzione immediata di ciò che è avvenuto può evidenziare come si siano sottovalutati stressor quotidiani che, accumulandosi, hanno inficiato ogni stressor allenante e il conseguente miglioramento che teoricamente doveva essere prodotto in condizioni di “normalità”.

Pensa ad una torta come una rappresentazione dello stress totale: ci sarà una fetta per il lavoro, una per impegni familiari/sociali, una per la gestione del denaro, così come per l’allenamento…e per le gare – gli stressor ovviamente possono essere altri e diversi per ognuno di noi. La dimensione totale di questa torta deve rimanere la stessa per mantenere salute ed equilibrio: lo stress da lavoro sale? Un’altra fetta deve scendere per compensare. Sii gentile con te stesso e “rallenta” se necessario. Il corpo è in grado di adattarsi maggiormente all’allenamento se vi sono valide e solide basi psicofisiche.

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6. Utilizzo di qualcosa di nuovo in una gara senza averlo MAI provato in allenamento

Il titolo è abbastanza esplicativo: è una delle regole cardine per tutti gli atleti, ma saresti stupito di quanti spesso commettono questo errore. A meno che tu non sia assolutamente disperato e disposto ad accettarne le conseguenze, non provare nulla di nuovo in competizione, siano essi componenti, alimentazione, o tattiche. Tutti questi elementi devono essere testati e affinati in allenamento.

Una “trappola” in tal senso è quando in certe gare sponsor di prodotti alimentari offrono i propri prodotti in gara. L’atleta abbastanza comprensibilmente utilizza il prodotto fornito gratuitamente ma, non essendo stato utilizzato/testato in passato, si possono verificare problemi che causano il deterioramento delle prestazioni.

7. Elevata densità di competizioni

Allenamento e capacità di esprimere una prestazione massimale (gara) sono in stretta relazione ed equilibrio, spesso precario.

Qui è dove entra in gioco la periodizzazione: la progressione scientifica del carico di allenamento – struttura anno/mese/microciclo di allenamento – lavorando sulla costruzione di intensità in maniera graduale significa adeguare il corpo verso i ritmi di gara: se manca un gradino (per esempio iniziare a gareggiare troppo anticipatamente) si perde un anello essenziale della catena. Un esempio classico è zona 3, tale carico è necessario per rilanciare la crescita capillare nel letto muscolare prima di lavorare in zona 4 dove vi è una maggiore necessità di clearance dell’acido lattico. Senza un’adeguata formazione ad intensità precedenti non si può supportare adeguatamente un carico superiore, semplicemente per limiti fisiologici. In molti di questi casi l’atleta poi cade nell’errore numero 1, alla ricerca della “toppa” risolutiva.

8. Non prestare attenzione ai dettagli (ma prima di tutto alle basi)

In preparazione per prestazioni sportive è molto facile focalizzarsi interamente sulla componente “allenamento” dell’equazione. Tuttavia, la prestazione si basa su -almeno- 3 pilastri:

– allenarsi per stressare il corpo (destabilizzare omeostasi) ed acquisire un livello superiore di capacità di sopportazione di ulteriore stimolo (volume e/o intensità di carico)

– recupero per permettere al corpo di “rigenerarsi”; senza questo passaggio decade ogni acquisizione di carico allenante

– l’aspetto nutrizionale (non necessariamente integrativo) costituisce la base per il precedente punto

Togliendo uno di quei pilastri e non vi sarà più equilibrio. In altre parole, uno non è più importante rispetto agli altri ma tutti e 3 i pilasti devono poter coesistere. Si potrebbero abbattere ulteriormente le prestazioni sportive e prendere in considerazione altre aree in cui si potrebbe lavorare. Per esempio quanto adeguatamente ti prepari mentalmente per gli eventi? SOLO coprendo adeguatamente le basi si può passare ai dettagli, che fanno la differenza più si alza il livello competitivo. Fare l’opposto, per esempio prestare attenzione all’ultimo modello di un determinato prodotto pensando ( molto spesso autoconvincendosi) che “magicamente” possa influire sulla prestazione finale è l’errore più comune che osservo.

9. Ripetitività (anche settimanale)

Quando le persone entrano in un nuovo sport c’è la tentazione di improvvisare senza considerare un piano a lungo termine. Spesso cercano di mettere insieme un piano di allenamento che comprenda tutto ciò che hanno sentito direttamente o indirettamente: un numero prefissato di chilometri di base, intervalli, velocità di lavoro, cadenze particolari, non superare certe pendenze e l’elenco potrebbe continuare. Questo è comprensibile con i novizi. Con il tempo, gli atleti dovrebbero ben presto iniziare ad utilizzare un approccio in cui il loro anno è ‘periodizzato’: i livelli e carichi di allenamento vengono applicati in determinati momenti della stagione in funzione di (oggettivamente raggiungibili) obiettivi chiave. Tuttavia, ci sono ancora atleti ( e, in maniera grave, allenatori) che cercano di coprire tutte le intensità contemporaneamente, indipendentemente dal periodo di allenamento, con l’estremo di applicare un mix di sessioni in tutte le zone di allenamento nella stessa settimana per un numero elevato (se non totale) di settimane durante l’anno!

Un carico ripetuto ciclicamente sempre uguale sarà solo un carico ristagnante, anche a livello mentale! Raggiungere il tuo allenamento in modo che si lavori per cicli, variando il carico per mantenere il corpo stimolato è un principio semplice; semplicistici allenamenti iper ripetitivi nello schema non soddisfano tale necessità ed esigenza.

10. Pensa a te stesso: non fare inutili confronti con altri

Una delle domande che gli allenatori si trovano a dover affrontare più spesso è “perché non ho ancora iniziato le mie ripetute mente tutti gli altri stanno già facendo (inserire un carico di allenamento x)?”

È comprensibile che nello sport – il suo significato stesso indica una competizione con gli altri – spesso ci guardiamo intorno per confrontarci. Tuttavia, ricorda che ogni atleta ha un proprio piano, propri obiettivi, e anche propri  punti di forza e di debolezza. Due persone anche con l’obiettivo della medesima gara avranno probabilmente bisogno di percorsi allenanti diverso a causa del loro soggettivo profilo fisiologico, esigenze e necessità differenti. Allo stesso modo, due atleti con identiche possibilità di allenamento avranno un percorso diverso in funzione per esempio non solo dei propri obiettivi ma della loro storia sportiva.

11. Ultimo, ma non per questo meno importante! 95 vs. 5%

Cosa significa? Molti atleti si focalizzano su dettagli, spesso trascurabili (il 5%) tralasciando completamente il 95% (!) spesso rappresentato proprio dagli errori e criticità sopra indicati quindi:

– è prioritario focalizzarsi sul piano ed “impianto” generale dell’attività svolta: allenamento, recuperi, riposo, alimentazione; spesso elementi semplici ma altrettanto spesso trascurati;

– il 5% presenta lati affascinanti e sempre nuovi, i famosi “guadagni marginali”, ma questi sono effettivi solo su una base consolidata di lavoro/pianificazione/capacità di auto analisi e feedback che fanno parte integrante del “95%”. Senza questi presupposti il “5%” perde qualsiasi significato ed efficacia

In conclusione

La preparazione per la prestazione sportiva non ha bisogno di essere sofisticata: la maggior parte degli atleti può ottenere il 90% delle proprie potenzialità (mai partire sopravvalutandosi…) facendo un passo indietro e applicando del semplice “buon vecchio senso logico”. Perché così alcuni atleti non riescono a fare ciò? Probabilmente perché troppo coinvolti su più fronti che spesso ignorano. Collaborare con con un allenatore, qualcuno con una visione obiettiva della tua prestazione è il modo migliore per ottenere un supporto necessario. Una supervisione oggettiva e non legata da vincoli di familiarità o sentimenti (che potrebbero influire in maniera distorta nella personale visione di ciò che fai) è la guida più diretta e redditizia.

Dott. Massa Roberto

massarob.info

operatore sportivo, allenatore, preparatore atletico, coach
Laureato in Scienze Motorie – Sport & personal trainer
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