Del mettere un freno alla disparità economica tra le squadre più ricche e meno ricche nel ciclismo se ne parla da molto tempo. L’attuale presidente dell’UCI David Lappartient lo aveva messo come tema da affrontare durante la propria presidenza, e lo aveva dato per scontato da realizzare nel tempo. Ora si è arrivato ad un passo importante in questa direzione, infatti il Professional Cycling Council (PCC) si è riunito in questo mese, con anche, finalmente, delle rappresentanze del ciclismo femminile, ed ha deliberato che un tetto di spesa verrà implementato:
“Sul fronte finanziario, nell’ambito della riforma dell’organizzazione del ciclismo professionistico su strada del 2018, è stato approvato il principio dell’attuazione di un tetto massimo di bilancio per le squadre. Ciò mira a preservare l’equità sportiva evitando eccessive disparità tra le squadre in termini di budget. Sarà istituito rapidamente un gruppo di lavoro per presentare le misure al Comitato Direttivo dell’UCI in vista della loro applicazione a partire dal prossimo rinnovo delle licenze UCI Women’s WorldTour e UCI WorldTour delle squadre (per la stagione 2026)“.
E fin qui tutto bene in linea di principio, ora resta la pratica in cui si annidano mille trappole. In primis sul come assicurarsi che questo tetto venga rispettato, cosa meno facile di quanto sembri a prima vista per almeno due motivi principali: il ciclismo non è organizzato in una lega unica che ne cura interessi e regole, ma è gestito attraverso una costellazione di vari enti: dall’UCI per quanto riguarda i regolamenti e loro applicazione; alla CPA, l’associazione dei corridori professionisti; alla UNIO, l’unione delle squadre pro femminili; l’AIOCC Associazione internazionale degli organizzatori delle corse ciclistiche; più vari altri enti più o meno riconosciuti ed influenti come i sindacati dei corridori The Cyclist Alliance e The Rider Union; o il MPCC, il movimento per un ciclismo credibile, il quale si concentra più sul versante antidoping, a lato e qualche volta in contrasto con la WADA (agenzia mondiale antidoping) e ITA (International Testing Agency). Tutte sigle che in parte ora siedono fianco a fianco nel PCC, ma senza una regia centralizzata.
Tutto questo in un contesto di uno sport non facente capo ad una sola nazione, ma con squadre provenienti da ogni angolo del mondo, con bandiera di un paese, proprietà e sede fiscale in un altro a rendere complicati i controlli sui budget.
Il secondo punto importante infatti è che già l’unico organo di controllo, l’UCI, viene costantemente criticato ed usato come capro espiatorio per la mancanza di controlli seri e per la qualità di questi controlli (ad es. prima il meme della lunghezza dei calzini, ora dell’inclinazione dei comandi al manubrio, e poi i sempreverdi non-controlli sui motorini elettrici). Potrà l’UCI avere le risorse per controllare i budget ed i vari modi per aggirare il tetto di spesa? In uno sport non organizzato in un’unica lega chiusa e “proprietaria” diventa difficile infatti verificare che i pagamenti ai corridori non vengano raggirati tramite sponsorizzazioni o altro. In particolare in uno sport dove la presenza di sponsor tecnici è massiccia e naturale conseguenza del fatto che il materiale tecnico riveste un’importanza primaria sia per lo svolgimento dello stesso sia per il business dei suddetti sponsor.
Niente che non possa essere adeguatamente regolamentato con le risorse adeguate (chi le finanzierà? gli stessi sponsor che poi dovranno essere controllati?), ma una limitazione di spesa è già chiaramente non ben vista da alcuni attori in gioco nell’ambiente. In primis gli agenti, che lavorando a percentuale non possono che essere scontenti di una riduzione del denaro circolante.
Oggi, uno dei principali agenti nel ciclismo, Alex Carera, lo ha detto chiaramente:
“In ogni sport, le persone migliori devono vincere, quindi se i migliori manager sono in grado di trovare più risorse economiche è corretto che le loro squadre abbiano più successo di altre.
È come chiedere a Tadej, Jonas, Mathieu o Remco di iniziare la gara con dei pesi sulle loro spalle per rendere le gare più equilibrate, ma è più giusto investire in allenamento, nutrizione e materiali per avere questi atleti piuttosto che chiedere loro di mettere un “peso” sulle loro spalle.
Nell’NBA tutte le squadre sono sottoposte allo stesso regime di tassazione, quindi non si può comparare il ciclismo WorldTour ad una lega di basket.
Negli ultimi 12 mesi grandi aziende come Lidl, RedBull, Decathlon, Tudor hanno scelto il ciclismo, portando un beneficio a tutto il movimento; la speranza è che altre aziende seguano questo processo per rendere lo sport più interessante e con maggior valore globale.
Le istituzioni devono migliorare la sicurezza degli atleti e migliorare la loro immagine ad ogni tappa.
Leo Messi ha mai dormito in un hotel 2 stelle con un bagno condiviso prima di una finale di Champions League?”
E’ chiaro che i migliori atleti del mondo in un dato sport vogliano avere gli stessi benefit e trattamento economico dei loro colleghi di altri sport, per quanto possibile. E rendere più ricco in generale uno sport è sicuramente un modo per farlo. Più soldi per tutti è sicuramente una situazione vincente per tutti.
Dall’altro lato della medaglia c’è uno sport con le sue peculiarità, sia strutturali che storiche e di tradizione, che con questi cambiamenti cambierà faccia, come già lo sta facendo ora. I cambiamenti del ciclismo negli ultimi anni sono stati radicali, e spesso non compresi e criticati anche da ex-professionisti, che poco si ritrovano in queste nuove formule o persino modo di correre. Cosi’ come gli appassionati, che se da un lato sono soddisfatti nel guardare in tv uno sport più appassionante dall’altro lato pagano, letteralmente, il rincaro che i costi per questi miglioramenti comportano. Ovviamente gli appassionati che pedalano sono solo una porzione marginale rispetto il “telespettatore”, che è il fruitore medio del prodotto ciclismo, ma allo stesso tempo ne rappresenta una base importante, in particolare rispetto un ricambio generazionale, che al momento stenta parecchio nel mercato.
A questo si può aggiungere che i cambiamenti non riguardano solo il ciclismo WT come dice Carera, visto che le squadre WT in pochissimo tempo si sono tutte o quasi dotate di squadre sviluppo, con organizzazioni e budget che hanno messo rapidamente fuori gioco a livello di competitività (ed attratività per i giovani corridori) sia le classiche squadre U23, sia tante squadre continental. Quindi una ricaduta che va oltre il solo cerchio ristretto delle 18 squadre WT.
Le squadre dovrebbero creare una lega propria per gestire i diritti televisivi e spartirsi la torta
Io sostengo che è ingiusto mettere un cap allo stipendio (o peggio ai guadagni complessivi da stipendio + sponsor) per i corridori, che sono i protagonisti del nostro sport.
Se mettiamo un cap lì va a detrimento dello spettacolo e/o a favore di soggetti terzi (organizzatori, TV, ecc...).
Estremizzando, il corridore che timbra il cartellino per portare a casa lo stipendio perchè tanto più di quello non può guadagnare non mi sembra il massimo dello spettacolo, è giusto che chi è più bravo sia premiato di più.