Henri Desgrange, Monsieur le Tour

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Una nota affermazione vuole che non siano i grandi campioni ad aver reso il Tour de France la maggior corsa ciclistica del mondo, ma il Tour de France ad aver reso grandi i campioni che si sono distinti in questa corsa.

In effetti si dice normalmente che, per esempio, Miguel Indurain è uno dei corridori che ha vinto 5 Tour de France, non che il Tour de France sia la corsa vinta 5 volte da Miguel Indurain.

Ma quali sono le radici di questa corsa che rende immortali i campioni ed incolla milioni di persone davanti alla televisione o alla radio e sulle strade ancora prima?

In un ristorante di cui non vi è più traccia a Parigi, in rue Faubourg Montmartre, il “Zimmer”, si è tenuta una cena il 20 Novembre 1902, in cui il direttore del giornale L’Auto ed alcuni giornalisti e redattori si chiedevano come risollevare le sorti della loro pubblicazione un po’ in calo di vendite.

Il giovane giornalista George “Géo” Lefevre, lancio’ l’idea di un “giro (tour) della Francia” per vitalizzare la neonata rubrica dedicata alle corse in bicicletta. Il direttore del giornale, Henri Desgrange, non fu colpito troppo dall’idea: un giro di tutta la Francia in bicicletta…i suoi collaboratori insistettero pero’, perché l’idea sembrava davvero buona per promuovere il giornale con un tale evento bizzarro. Alla fine Desgrange si lancio’ convincere e si butto’ nell’impresa, che trovava in ogni caso “folle” ed “assassina” per i corridori dell’epoca.

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Henri Desgrange era nato nel 1865 a Parigi, e si cominciano ad avere sue notizie quando lavorava come apprendista presso un notaio parigino, che pero’ ad un certo punto lo licenzia. Un po’ perché il giovane Henri preferisce la bicicletta al lavoro ed un po’ perché desta scandalo il fatto che usasse dei calzini molto attillati sui polpacci quando pedalava…

Desgrange a quel punto si decide per una vita da ciclista e comincia l’attività su pista, ma non è un corridore potente e non ottiene grandi risultati. In compenso è molto resistente alla lunga distanza e cosi’ si lancia nel tentativo di un nuovo record (di sua invenzione): quello dell’ora.

L’11 Maggio 1893 stabilisce il nuovo record dell’ora al velodromo Buffalo di Parigi con la velocità di 35,325km/h. Record che ha come unico antecedente un tentativo dell’americano Frank Dodds, ma che avrà una lunga serie davanti a se.

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Questo exploit gli consente comunque di entrare nel “giro” del ciclismo parigino e diviene direttore di due dei più famosi velodromi parigini: quello del Parco dei Principi e l’infausto Vélodrome d’Hiver.

Nel 1894 pubblica anche un libro “La tête et les Jambes” (“La testa e le gambe”) che di fatto è uno dei primi metodi di allenamento, principalmente basato sull’idea che il ciclismo sia tutta una questione mentale e non fisica, idea probabilmente derivata dalla sua preferenza per le lunghe distanze. Libro in cui si evidenziano perle come quella che vuole l’utilità della donna per uno sportivo pari a quella di un paio di calzini sporchi…

Che Desgrange fosse un tipo bizzarro e con idee non molto ortodosse sarà chiaro in seguito sia per alcune sue note esternazioni sia per il suo modo di gestire la macchina organizzativa del Tour de France. Macchina organizzativa che tutto sommato si poteva ridurre ad un persona soltanto: lui stesso attraverso il suo giornale.

L’Auto era il giornale diretto da Desgrange. Un giornale di colore giallo che era nato per motivi economico-politici.

Il principale giornale francese di ciclismo dell’epoca era Le Velo (“La bicicletta”). I cui principali inserzionisti pubblicitari erano Adolphe DeDion, barone e fabbricante d’auto, e Adolphe Clément, industriale di biciclette e dei ancora noti oggi pneumatici.

Ebbene questi due signori erano convinti della colpevolezza del capitano Dreyfus, un ebreo accusato ingiustamente di aver venduto segreti militari ai tedeschi, il cui caso fu un marasma storico per i francesi. Questa presa di posizione scontento’ (a ragione col senno di poi) gli altri inserzionisti che fondarono un giornale proprio in concorrenza. L’Auto per l’appunto. Titolo scelto per cavalcare la nascente passione per gli sport a motore. E vergato in carta gialla per distinguersi da quella verde del concorrente diretto.

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Il punto di svolta per L’Auto fu proprio l’organizzazione del Tour de France. Le copie vendute passarono dalle solite 25.000 alle 65.000 per la prima edizione del Tour del 1903, fino a raggiungere le 500.000 copie quotidiane nel 1923 ed a sfiorare il milione nel 1933.

La prima edizione del Tour fu organizzata in maniera “casereccia” per usare un eufemismo, col buon Géo Lefèvre, il giornalista che aveva lanciato l’idea, costretto a fare da inviato per L’Auto, da direttore di corsa, cronometrista ufficiale, giudice di gara e giudice all’arrivo. Da notarsi che seguiva tutte le tappe andando dalla partenza all’arrivo in treno. Cosa che probabilmente non gli faceva apprezzare tutti i folcloristici avvenimenti che occorrevano durante le tappe, come il lancio di sassi ai corridori stranieri, le minacce, le aggressioni fisiche (armate a volte) ai corridori avversari dei propri beniamini regionali e non “francesi”, come piaceva a Desgrange, che vedeva il Tour come mezzo di unificazione nazionale, etc.etc.

Avvenimenti che importavano relativamente a Henri Desgrange, che secondo testimonianze dell’epoca aveva un suo stile totalmente “tirannico” di gestire ogni aspetto del suo lavoro  e che certo non lo risparmiava ai corridori, gente che all’epoca veniva perlopiù dalle classi sociali più povere ed erano trattati come bestie da soma.

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Desgrange faceva le regole e le faceva rispettare come gli pareva, comminando sanzioni per ogni cosa che non rientrava nella sua idea di ciclismo, come l’appioppare 500 franchi di multa al due volte vincitore Maurice Garin per aver preso cibo lungo la strada da spettatori, o l’aver penalizzato di 2 minuti Henri Pellissier per essersi fatto cambiare una ruota forata (per protesta si ritirerà).

La sua gestione era definita “dispotica” e lo era anche a dispetto degli interessi commerciali ( che pure erano il motore principale dell’organizzare il Tour), tanto che nel 1928 infastidito dal dominio della squadra Alcyon, sponsorizzata dall’omonima azienda produttrice di biciclette e motociclette che aveva dominato le ultime edizioni del Tour e stava acquisendo troppa notorietà, aboli’ le squadre indicendo delle “nazionali” che correvano tutte con bici gialle fornite a spese dell’organizzazione del Tour.

Questo ovviamente fece infuriare i produttori di biciclette che smisero di fare pubblicità su L’Auto, ma Desgrange, per limitare le perdite si inventa un’idea dal futuro radioso: la carovana del Tour, ovvero far sfilare prima del gruppo tutta una serie di auto e camion pubblicitari delle ditte più varie che vogliono pubblicizzare i propri prodotti. Oltre a permettere gli sponsors sulle maglie dei ciclisti.

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Alla fine la vince Desgrange, tanto che le bici gialle senza marca saranno fornite da…L’Alcyon…bici ovviamente monomarcia, perché Desgrange era un furioso avversario del cambio, che secondo lui era roba da: “…gente sopra i 45 anni…giacché non è meglio trionfare con la forza dei propri muscoli che non grazie all’artificio di un deragliatore? Ci stiamo rammollendo!” Ammoniva dalle pagine de L’Auto, “per quanto mi riguarda datemi un rapporto fisso!” scriveva.

Di lui Bruno Roghi, tra i primi giornalisti italiani di ciclismo,scriverà: “L’ineffabile vecchietto che, per il gusto luciferino di proporre ai suoi corridori le montagne più aspre e le fatiche più disumane, godeva gli epiteti, a scelta, di «nonnino sanguinario», «aguzzino di forzati», «massacratore di atleti», e così via.

Con l’arrivo della seconda guerra mondiale L’Auto viene acquisito da un consorzio tedesco, da cui una certa partigianeria per gli occupanti…cosa che non sarebbe stata mai permessa da Desgrange, morto già nel 1940, ma facente parte di quella generazione di francesi traumatizzata dalla vergogna della sconfitta contro i prussiani nel 1871, e che cercava in ogni occasione di rivalutarsi e ridare lustro alla Francia.

Dopo la guerra i redattori riapriranno bottega, ma non con il nome di L’Auto, ormai infamato agli occhi dei francesi, ma con quello de L’Équipe. Ben noto anche oggi. Giornale che verrà comprato da Aurelièn Amaury, magnate della stampa, nel 1968 ed i cui eredi faranno rifluire l’organizzazione del Tour tra i vari eventi della Amaury Sport Organisation, ASO, attuale organizzatore del Tour.

Siamo oggi all’edizione n°99 nel 2012 per il Tour de France, ma l’impronta data da Henri Desgrange per certi versi resta. Non ci sono più ovviamente le bizzarie tiranniche del direttore de L’Auto, ma un certo modo di concepire questa corsa e di perpetuarne il mito forse si.

Solo due tracce tangibili di Henri Desgrange restano oggi visibili: una è il premio di 5000eu a chi passa per primo in cima al Col de Galibier, dove si trova un monumento a Desgrange.

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L’altro sono le inziali HD sulla maglia gialla. Un tempo unico segno permesso (da lui ovviamente) sulla sacra maglia, oggi un po’ perse tra i vari sponsors. Quelli permessi da lui per primo.

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