Il nome della rosa

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1892, Parigi-Nantes-Parigi, 1025km per una delle prime competizioni ciclistiche. Vince Jean Marius Allard su bicicletta Peugeot. Dietro di lui altri 4 corridori tutti su Peugeot.

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Peugeot era all’epoca un’azienda che aveva iniziato il proprio commercio producendo macinini da caffé, per passare poi alle Gran-Bi, le biciclette col ruotone anteriore (col marchio “Le Français“), e poi alle prime automobili.

Gli ottimi risultati di vendite legate ai primi risultati nelle corse li porterà a fare un passo mai fatto prima da nessun altro costruttore: creare una squadra di “professionisti” ingaggiati per correre con le proprie bici.

Nel 1901 si forma la squadra Peugeot, che conta due corridori italiani: Giuseppe Ghezzi e Federico Momo. E nel 1904 sponsorizza 4 ciclisti di cui 3 francesi ed 1 svizzero che correranno tutti con bici marchiate Peugeot.

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L’avventura nel mondo del ciclismo della Peugeot durerà 88 anni, finendo poi per trasformarsi in varie altre entità fino alla odierna Crédit-Agricole. E raccogliendo il più gran numero di successi della storia per una squadra ciclistica: 9 Tour de France, 3 Vuelta, 5 Parigi-Roubaix, 6 mondiali e una moltitudine di altre corse grazie ai vari Tousselier, Petit-Breton, Garrigou, Thys, van Steenbergen, Simpson, Merckx, Thévenet, Duclos-Lassalle, Roche, etc.

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Altri produttori di biciclette hanno legato indissolubilmente il loro nome a quello delle squadre che hanno sponsorizzato, come la maggior concorrente francese della Peugeot in Francia, l’Alcyon (uno dei costruttori scelti per fornire le bici del Tour quando erano tutte gialle ed era proibito che avessero marchi).

Produttore di bici che si lancia nella sponsorizzazione di una squadra nel 1906, in particolare con gli assi del tempo: Faber, Garrigou, Lapize e Defraye, con cui vincerà 4 Tour de France consecutivi (1909-1912). La produzione di biciclette passerà cosi’ dalle 3151 del 1903 alle 104.442 del 1924.

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Il blu Alcyon dei poster pubblicitari, delle bici e delle maglie diventerà un marchio subito riconoscibile che entrerà nell’immaginario del pubblico e dei consumatori.

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Come dall’altra parte delle alpi faceva l’italiana Bianchi, che inizia la sua attività di sponsor con Gian Ferdinando Tomaselli nel 1899 per una corsa sprint a Parigi. La saga del celeste Bianchi durerà fino al 2004 conquistando un numero enorme di competizioni (12 Giri d’Italia, 3 TdF, 2 Vuelta, 4 mondiali) ed entrando nell’immaginario collettivo grazie ai suoi campioni: Coppi, Gimondi, Pantani, Bugno, Argentin, Fignon, Ullrich, etc.

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La competizione in casa si aveva questa volta con la Legnano. Inutile ricordare la rivalità tra Bartali e Coppi (quest ultimo corse e vinse anche con la Legnano). La Legnano resta ad oggi la squadra ad aver vinto più Giri d’Italia (15) grazie oltre che a Bartali al dominio di Alfredo Binda e compagni degli anni ’20 o a campioni come Learco Guerra negli anni ’30 fino ad arrivare al 1958 con Ercole Baldini.

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Bisogna tornare in Francia per trovare le altre due squadre più titolate che hanno preso il nome dal costruttore di biciclette che le forniva, con la Gitane e la Mercier.

La Gitane comincerà nel 1929 la propria produzione e solo nel 1948 le prime sponsorizzazioni. Negli anni ’50 i primi successi con Jean Stablinski, quindi con Rudi Altig negli anni ’60, ma soprattutto 1963,1964 e 1966 sono gli anni d’oro con le vittorie al Tour di Jacques Anquetil e Lucien Aimar. I risultati non si fanno attendere: nel 1968 la produzione consta di 67.000 biciclette, mentre nel 1974 la stessa schizza a 350.000. Forte anche della co-sponsorizzazione della Renault che voleva contrastare i rivali della Peugeot. Negli anni ’70 ed ’80 (1978-1985) la Renault-Gitane domina le corse con Hinault e Fignon (ma anche Lemond, Madiot, Mottet, Bernaudeau) e vincono 6 Tour de France, 2 Giri d’Italia, 2 Vuelta, campionato del mondo, etc..).

La maglia della Renault-Gitane, con i colori ispirati dall’allora marchio Renault resterà un’icona nel mondo del ciclismo.

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Un po’ meno iconica (probabilmente anche per il non entusiasmante viola/rosa di maglia e bici) la Mercier, soprattutto fuori dalla Francia, dove il nome è rimasto indissolubilmente legato a uno dei campioni più amati d’oltralpe: Raymond Poulidor, “Poupou” per i francesi, “l’eterno secondo” per gli altri. Mai vinto un Tour de France, mai vestita la maglia gialla, ma record di presenze sul podio degli Châmps-Elysées: 8.

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Tre volte 2°, cinque volte 3°. Più un 2° posto alla Vuelta (vinta pero’ nel 1964, come anche MI-Sanremo, Freccia Vallone, Parigi-Nizza, Delfinato, etc..). Nel 1964 perse una tappa a favore di Anquetil perché arrivato primo al velodromo di Monaco si dimentico’ di fare 2 giri come previsto e fermatosi venne ripreso e superato perdendo 1′ di abbuono (oltre al vantaggio che aveva). Perderà il Tour per 55″.

Le sue battaglie con Anquetil hanno riprodotto in Francia quello che per gli italiani è stata la rivalità Bartali-Coppi, sia a livello agonistico che caratteriale e quindi sociale. Con una foto che leggendaria che fa il paio di quella nostrana del passaggio della borraccia:

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Oggi queste squadre non esistono più, ed anche i relativi costruttori di bici, Bianchi a parte, si sono ridimensionati (Gitane e Mercier) molto o sono addirittura spariti (Alcyon) o rimasti solo di “facciata” (Peugeot).

La continuità con la grande storia del ciclismo e la tradizione delle squadre-costruttori oggi è legata a soli tre nomi: BMC, Trek e Cannondale (e Colnago, ma in Continental).

La prima, ditta svizzera voluta fortemente da Andy Rhys, proprietario miliardario di Phonak, è il team con il budget più alto nel WordlTour, mentre  la Cannondale, abbandonata la Liquigas, ha creato il proprio neonato Pro Team.

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Due squadre che visti gli organici hanno ottenuto e sicuramente potranno ottenere ancora altri ottimi risultati.

Più nebulose le prospettive della Trek, ora co-sponsor assieme a Radioshak e Nissan di un team che quest anno ha avuto tutte le sfortune possibili oltre ai danni d’immagine notevoli dovuti alla positività di Franck Schleck ed ai guai dell’ex-team manager Johan Bruyneel, sulla scorta di quelli del caso Armstrong.

Vedremo se nel futuro la storia si ripeterà ancora.

 

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