Tadej Pogačar (UAE-Emirates) è il vincitore del Tour de France 2020. Sigillo arrivato dopo la seconda vittoria di tappa di Sam Bennett (Deceuninck-QuickStep) che ha chiuso il suo primo Tour con due vittorie di tappa, di cui appunto l’ultima sul prestigioso rettilineo degli Champs-Elysées a Parigi, e la conquista della maglia verde, strappata dalle spalle di Peter Sagan, dominatore record della classifica a punti al Tour negli ultimi 7 anni, che solo l’esclusione dal Tour 2017 ha negato l’en-plein di 8 consecutive.
Tadej Pogačar: 10 e lode
Il giovane sloveno non ha solo vinto questo Tour, ma lo ha reso speciale. Lo ha animato, ha lottato senza una squadra di rilievo a supportarlo, ed ha firmato uno dei più grandi ribaltamenti in classifica della storia del Tour, probabilmente secondo solo a Lemond-Fignon 1989. A 21 anni è il più giovane vincitore del Tour dal 1904 (vinto da Henri Cornet a 19 anni). Capolavoro la cronometro misto-scalata della penultima tappa nella quale ha disintegrato la concorrenza da vero dominatore. L’anno scorso si prevedevano vittorie a ripetizione per Egan Bernal, ma Pogačar, con un anno di meno, non solo ha vinto, ma ha dato spettacolo, e sul fatto che sia un campione assoluto anche per il futuro si è speso persino Eddie Merckx. Si vedrà, ma per ora è impossibile chiedergli di più.
Primoz Roglic: 5
Aveva fatto tutto giusto Roglic. Aveva la squadra più forte in assoluto. Ha corso 3 settimane in controllo totale. Ha vinto una tappa proprio davanti a Pogačar in cui sembrava non essersi nemmeno speso al 100%, solo di autorità. E poi, alla fine, il crollo nella cronometro. Che poi se crollo è stato, lo è stato più dal punto di vista psicologico che altro. Con i distacchi comunicati in cuffia, il tesoro di 57″ di vantaggio assottigliati a 20″ ai piedi della salita finale, la faccia sempre imperturbabile di Roglic si è fatta vitrea, il casco sghembo in testa, i gomiti larghi. 5° alla fine, a 30″ dal 2°, il super-gregario Tom Dumoulin, ma 59″ dietro il giovane connazionale. La faccia devastata di Roglic all’arrivo è l’immagine della brutalità dello sport, del perdere tutto dopo aver gestito una corsa per 3 settimane e 3800km per meno di 1′. Ora tutti si chiedono se Roglic avrà la forza mentale di riprendersi da questo colpo durissimo. Solo il futuro ci darà risposte.
Egan Bernal: 4
Il detentore del titolo, che l’anno scorso pareva dovesse essere il nuovo dominatore del Tour, non si è realmente mai visto. Acciaccato da inizio anno per un mal di schiena non si è mai reso protagonista. Già dal Tour del’Ain non sembrava brillantissimo, ma tutto sommato 2° dietro Roglic lo si aspettava in crescita, invece poi la caduta ed il ritiro al Dauphiné sono stati il prodromo al ritiro al Tour, dove ha sempre sofferto il ritmo elevatissimo da subito. Sino al crollo sul Grand Colombier, e poi il ritiro alla 17^ tappa per preservarlo per la Vuelta. Vuelta che ci dirà di più sulle condizioni fisiche e mentali del colombiano.
Thibaut Pinot: 6
Il francese sembrava, come sempre, nell’anno buono. Anche lui però vittima di una pesante caduta, alla prima tappa, ha poi sofferto continuamente, in particolare per il male alla schiena, combinato col ritmo infernale già dalle prime tappe. Alla prima tappa di montagna è esploso sulla salita di Porte de Balés. Da li è stato un calvario solo per finire, ma ha finito. 29° a quasi 2h dal primo, ma Pinot si è trascinato sino a Parigi, senza scuse ed anzi con grande durezza nei propri confronti, scusandosi per “i molti fallimenti” con tifosi, squadra e compagni. Voto 6 per la professionalità.
Tom Dumoulin: 8
L’olandese è arrivato come seconda punta della Jumbo, ma in ritardo di condizione, tanto che nella prima tappa di montagna ha perso parecchio tempo sul Peyresourde. Da lì in poi ha vestito il ruolo di impeccabile gregario per Roglic, continuando però a rimontare in classifica grazie ad una condizione sempre in crescita. Alla fine 7° a +7’48”. Pogačar gli toglie la gioia della vittoria nella crono finale, dove aveva tuttavia fatto un gran tempo, ma soprattutto quella di vedere ricompensato il proprio lavoro nelle tre settimane.
Wout Van Aert: 11
Il belga in questo Tour è sembrato non avere limiti: vittorie allo sprint, tirate pazzesche per 20 tappe di fila a mettere in riga tutto il gruppo, sia in pianura in compagnia di Tony Martin sia in salita con i vari Bennet e Gesink, che si staccavano prima di lui nel treno Jumbo. Persino nella crono finale si è permesso un numero stratosferico, 2 tappe vinte e 20° in classifica generale. Se la Jumbo-Visma è stata una “corazzata” lui è stato il motore. Con un gregario così ogni squadra diventerebbe uno squadrone. Se continua così asfalterà tutta la stagione.
Nairo Quintana: voto 4
Stagione segnata dalla sfortuna per il colombiano. Cadute a raffica, di cui l’ultima sul Puy Mary da cui non si è più ripreso. Da li in poi ha sofferto per tutto il Tour. Chiude 17° per onor di firma.
Marc Hirschi: voto 9
Il super-combattivo del Tour ha regalato emozioni in varie tappe, perdendone una di un soffio, ma conquistandone una dopo una bellissima azione. Grande caparbietà da parte del giovane svizzero, ma anche grandi doti. Oscurato dalla stella di Pogačar (classe 1998 come lui), ma sicuramente un altro giovane da seguire, perché le doti ci sono tutte.
Richie Porte: voto 9
L’australiano si prende una bella soddisfazione con il 3° posto in classifica generale. Il suo miglior risultato nei grandi giri era il 5° posto al Tour 2016, ma è sempre stato abbonato alla sfortuna nelle tre settimane. Questa volta si è rifatto, un po’ grazie alla costanza, un po’ alla sorprendente cronometro finale, un po’ grazie al crollo di Miguel Angel Lopez sempre nella crono.
Miguel Angel Lopez: voto 5
Il colombiano vedeva chiaramente il podio sino alla crono finale, ma è stato vittima di un crollo totale sulla Planche des Belles Filles, chiudendo 45° a +6’17”, lo stesso tempo di Michael Schaer (CCC) che è alto 30cm più di lui, tanto per capirsi. Eppure il corridore della Astana aveva siglato una bellissima vittoria nella tappa regina del Col de Loze, mostrando le sue capacità di scalatore sulle rampe della Loze e rifilando 15″ a Roglic e 30″ a Pogačar. Una débâcle meno scenografica di quella di Roglic, ma della stessa sostanza.
Mikel Landa: voto 5
Il solito Landa: sempre sull’orlo di una grande prestazione che non arriva mai. In particolare scene di “landismo” quelle del Col de Loze, dove ha messo davanti la ottima Bahrain-McLaren a fare forcing per 2h e per poi spegnersi proprio quando avrebbe dovuto partire all’attacco. Voto 9 per Pello Bilbao e Damiano Caruso. Lo spagnolo è stato in grande spolvero in questo Tour (16° alla fine) e addirittura sontuoso Caruso che si porta a casa un 10° posto. Permettendosi di dare persino 1′ proprio al suo capitano Landa. Ottimo in prospettiva mondiale, ma forse anche da farci un pensiero per i prossimi grandi giri.
Sam Bennett: voto 10
L’irlandese ha fatto brindare copiosamente nei pub di casa. Strappa la maglia verde dalle spalle di Peter Sagan con una prestazione maiuscola. Sia per la superiorità mostrata nelle volate, sia per averlo fatto in un Tour infernale per gli sprinter. Un Tour con 58.800mt di dislivello, e non certo fatti al piccolo trotto.
Bravo lui e brava la Deceuninck, che con Asgreen e Mørkøv lo hanno supportato come si deve. Bella in generale la lotta per la maglia verde, di solito un po’ “accessoria” al Tour, invece quest’anno è stata una bella sfida tra un Sagan meno brillante, ma comunque caparbio, che ha messo sovente alla frusta la Bora-Hansgrohe per tagliare fuori gli avversari meno rapidi di lui in salita. Bel duello con Bennett, un corridore simpatico e corretto, ed anche con l’elettrone libero Caleb Ewan, che due tappe se le è portate a casa pure lui. Bravo anche Matteo Trentin (CCC) che ci ha provato e creduto. Peccato invece per un Elia Viviani un po’ sottotono.
Nel complesso bellissimo Tour. In un anno terribile questa edizione è stata memorabile, con un bel duello tra i due sloveni, il ribaltone finale, degno dei libri di storia, tanti giovani forti che hanno dato spettacolo, belle azioni, come quelle della Sunweb, un bel duello per la maglia verde, una maglia a pois che finalmente finisce sulle spalle del più forte in montagna.
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