Le vittorie di Balsamo e Girmay

43

Elisa Balsamo (Trek-Segafredo) sembra imbattibile in questo momento, avendo collezionato ben 3 vittorie in una settimana. Dopo le vittorie al Trofeo Binda ed alla classica Bruges-La Panne, la campionessa del mondo ha anche alzato per prima le braccia sul traguardo della Gand-Wevelgem ieri.

Una gara con molti attacchi negli ultimi 35 chilometri dopo l’ultima salita del Kemmelberg (600mt al 11,7% di media). Anche se nessun corridore è riuscito ad andare in fuga, e pertanto si è arrivati allo sprint finale di gruppo, dove la Balsamo in questo momento non ha rivali, nemmeno la campionessa uscente della prova, e leggenda  pedalante, Marianne Vos.

Se la Balsamo sta onorando la maglia iridata nel migliore dei modi, imponendosi rapidamente come nuova forza del ciclismo femminile, in campo maschile Biniam Girmay (Intermarché-Wanty Gobert) ha fatto la storia sempre nella Gand-Wevelgem, diventando il primo corridore africano a vincere la prova, ma non solo, anche come primo africano a vincere una classica.

Girmay compirà 22 anni il 2 Aprile prossimo, ma è già evidente a tutti il suo talento. A 18 anni appena compiuti ha vinto la sua prima gara professionistica, battendo allo sprint gente come Bonifazio e Greipel alla Tropicale Amissa Bongo avendo allora l’età minima per competere in una prova di questa categoria UCI.

Ma già nel 2018 aveva destato l’interesse di vari Talent Scout, quando ad agosto, alla Aubel-Thimister-Stavelot, nel Belgio che poi lo consegnerà alla storia, vinse la prima tappa battendo allo sprint Remco Evenepoel. Ora la cosa non stupirà molti visto che Remco non è proprio un fulmine allo sprint, ma Girmay resterà l’unico corridore assieme a Karel Vaçek ad aver battuto allo sprint Remco prima del passaggio al professionismo (alla fine Girmay finirà 3° in classifica generale, dietro Remco appunto e Frederik Thomsen, ritiratosi dal ciclismo 2 anni dopo).

Da allora i piazzamenti parlano chiaro sulle qualità dell’eritreo: 2° al Laigueglia 2020 (dietro Ciccone), 5° al GranPiemonte 2021, 2° al mondiale U23 (dietro Baroncini),  12° alla Milano-Sanremo e 5° alla E3 in questa stagione.

E poi le vittorie: il trofeo Alcudia ad inizio stagione (davanti Nizzolo e Matthews) e quindi la Gent-Wevelgem a mettere il cappello su questo giovane corridore che ha già fatto la storia, ma presumibilmente la farà ancora.

Commenti

  1. Il Trattore:

    Mancanza di “strutture” per allenarsi.
    Nell’atletica è facile, basta una pista o comunque un percorso di pochi km (e infatti i keniani stanno tutti a Eldoret/Iten e gli etiopi ad Addis Abeba (che già è a 2400m di quota)).
    Nel ciclismo serve qualcosa in più, io non girerei per i parchi del Kenya in bici con certi animali in giro oppure con le tribù che vivono di auto-sussistenza.
    Già vedi come i sudamericani spesso girano con la scorta (Froome aveva proprio la polizia con se quando pascolava per il Sud America, evidentemente se lo poteva permettere).
    E' anche vero che i neri non stanno solo in Africa. Stanno in Francia, in Inghilterra, negli USA. Lì in teoria dovrebbero aver accesso alle stesse strutture dei bianchi. Io penso ci sia anche un fattore culturale se non proprio di caratteristiche fisiche, che negli sport dove è palese, sembrerebbero sempre nettamente privilegiarli.
    Il Trattore:



    La genetica incide ma in minima parte, quando hai un bacino di utenza grande i fenomeni li trovi. Vedi, per fare un paragone ancora nell’atletica, il movimento giapponese di maratona: non hanno avuto nessuno per un centinaio d’anni, hanno deciso di investire nel movimento e nel 2021 hanno piazzato 42 (sì, QUARANTADUE) atleti sotto le 2h10’ in una sola gara :shock: È cambiata improvvisamente la genetica? No, è cambiato il modo di lavorare in un determinato sport.
    Oppure hanno assunto Conconi & Ferrari :==
  2. samuelgol:

    E' anche vero che i neri non stanno solo in Africa. Stanno in Francia, in Inghilterra, negli USA. Lì in teoria dovrebbero aver accesso alle stesse strutture dei bianchi. Io penso ci sia anche un fattore culturale se non proprio di caratteristiche fisiche, che negli sport dove è palese, sembrerebbero sempre nettamente privilegiarli.
    Sicuramente incide il fattore culturale riguardo chi vive in paesi occidentali, ma per l'Africa (oltre al già citato filtro culturale) non vedo come ci si possa stupire che non ci sia una tradizione ciclistica... trovare una bici da corsa e delle strade adatte credo siano l'ultimo dei problemi.
    Io ho girato un po' il Kenia e constatate le condizioni di vita (da "turista" ho frequentato comunque zone con un minimo di infrastrutture) mi sarei veramente stupito di vedere un ragazzino su una qualunque bicicletta, figuriamoci su una bici da corsa.
    Girando per Mombasa (parlo di 12-13 anni fa, non 100) vedi gente che lava i panni nei canali di scolo della città... è vero che non tutta l'africa è uguale, ma onestamente non credo che in Eritrea, in Congo, in Namibia in Senegal il ragazzino dica al papà "voglio fare ciclismo"... è già tanto se sa cos'è.
    Per fare un paragone, credo che sia molto più facile che il figlio di una famiglia in cassaintegrazione in una zona disagiata d'Italia diventi pilota di automobilismo piuttosto che un qualunque bimbo africano abbia una carriera ciclistica... se qualcuno emerge probabilmente ha avuto la fortuna di nascere in una zona adatta, in una famiglia benestante e con qualcuno che l'ha preceduto nella stessa zona. Dove corrono il Tour de Rwanda credo sia più parecchio facile trovare un giovane ciclista che non in Tanzania.
Articolo precedente

Prova di forza della Jumbo-Visma al GP E3

Articolo successivo

Peter Sagan salta il Fiandre

Gli ultimi articoli in Magazine