Il 4 maggio si potrà tornare a pedalare. Al di là della gioia di chi finalmente potrà tornare a far sport all’aria aperta, la notizia è ottima anche per chi si sposta in bici per andare a lavorare, fare la spesa, ecc, senza così aver bisogno di certificazioni o (speriamo) aver paura degli psicopatici da quarantena.
Ora c’è da chiedersi perché i negozi di bici non siano ritenuti strategici, come per esempio in Gran Bretagna: lì non sono mai stati chiusi, perché la bicicletta è stata vista come uno strumento per evitare assembramenti in metropolitana, bus o treno. Logico, per una persona intelligente. Non così logico, per i governi di altri Paesi, fra cui Italia e Svizzera (dove potranno riaprire l’11 maggio e dove non è mai stato vietato pedalare).
In Gran Bretagna i negozi di bici sono stati presi d’assalto, nel rispetto delle norme antivirus. Come era lecito aspettarsi, la gente pensa alla propria salute e non vuole ammalarsi, al di là di quello che ne pensano i politici. Questo significa che i rivenditori fanno fatica a star dietro alle vendite, i fatturati esplodono e che, molto probabilmente, ci troviamo di fronte ad una rivoluzione della mobilità cittadina.
Se poi è vero che si sta lavorando per creare nuove ciclabili, oserei dire che siamo a cavallo o meglio in sella. Inconcepibile rimane appunto il ritardo di apertura dei negozi di bici. Le regole sono chiare: distanza sociale, mascherine, ecc. Sono anche convinto che sia nell’interesse dei negozianti farle rispettare.
Ora spiegatemi voi perché se io rompo una parte della mia bici con cui per esempio vado al lavoro devo rimanere a piedi o aspettare una settimana che mi arrivi la consegna dal negozio online.
Qui trovate il pensiero di DSB Bonandrini, uno dei maggiori distributori italiani di bici.
Ci tocca attendere che le nostre generazioni sostituiscano l'attuale classe politica, portando innovazioni sulla ciclabilità.