Il ciclismo professionistico ha finalmente un orizzonte, e soprattutto una data su cui sperare: il 29 agosto, quando, forse, il Tour de France partirà da Nizza, ed il 20 settembre quando terminerà a Parigi, e lo stesso giorno, a Martigny, dovrebbero prendere il via i campionati del mondo su strada.
Ovviamente tutto dipenderà dall’evoluzione della crisi pandemica di coronavirus, ma perlomeno ora c’è un perno su cui tutta la stagione può essere fatta ruotare, dalla preparazione dei corridori, ai cambi di percorso (le città di tappa sono confermate, ma deviazioni sono da prevedere) e, soprattutto, si possono mantenere i contratti di sponsorizzazione, sia per le corse che per le squadre, che, altrettanto ovviamente, senza corse non li avrebbero onorati.
La data scelta, che farà dell’eventuale Tour 2020 il più tardivo della storia, è stata quasi obbligata, come ha spiegato all’Equipe, il direttore del Tour Christian Proudhomme: “durante una delle nostre conferenze, il medico dell’UCI, Xavier Bigard, ci ha detto che sarebbe durata ancora a lungo, e che i contatti ai vari ministeri ci indicavano che la fine del confinamento non sarebbe stato fatto di colpo. Abbiamo prima immaginato un rinvio all’inizio di agosto, ma poi ci siamo detti che sarebbe stato meglio farlo il più lontano possibile. Più il periodo di confinamento si prolungava più il ritorno all’allenamento ritardava, e le date del Tour si allontanavano“.
Proudhomme, ha ricordato lo sconcerto al ministero dell’interno quando hanno chiesto di posticipare il Tour, cosa a prima vista impossibile se si pensa che durante tutto il suo svolgimento questo mobilita 29.000 persone di forze dell’ordine, pompieri, servizi dipartimentali, etc… e la famosa “carovana” conta circa 4500 persone, ma poi hanno trovato un accordo, sulla base che “il Tour è comunque una sfida, e questa è una sfida nuova“.
Ad ogni modo un Tour senza l’accordo delle autorità non si può correre, e queste avranno l’ultima parola, quindi le varie direttive che verranno emanate nel corso dei mesi andranno integrate per quanto possibile.
Nel frattempo andrà organizzata la ripresa, con vari paesi con ancora in vigore divieti per i ciclisti di uscire ad allenarsi, ed addirittura l’impossibilità di viaggiare, essendo chiuse le frontiere extra-europee, ma una deroga è stata appena emanata per i calciatori, quindi è possibile che anche i ciclisti ne potranno beneficiare, e permettere cosi ad un Bernal, ad es., di fare delle ricognizioni del percorso.
Salvato il Tour, e quindi forse la stagione, resta da organizzare il resto del calendario, che chiaramente partirà da questa base. Quindi il Giro d’Italia potrebbe partire il 3 ottobre per finire il 25, mentre la Vuelta partirebbe in concomitanza con la terza settimane del Giro, ma non più tardi del 7 novembre, data considerata limite anche per la Spagna per evitare problemi col meteo. ASO, organizzatore di Tour e Vuelta, sarebbe però pronto a sacrificare la partenza da Utrecht, per evitare complicazioni logistiche, e accorciare la Vuelta a 18 tappe, con un solo giorno di riposo. Cosa che non è da escludere anche per il Giro. Restano da posizionare tutte le classiche monumento, che potrebbero essere concentrate tutte ad ottobre, per una densità di competizioni senza precedenti.
Una sfida nella sfida anche per i corridori. Come ha spiegato Julian Alaphilippe: “…sarà fondamentale il recupero tra corse che chiedono tantissimo a livello di energia e dove dovremmo tutti arrivare con il coltello tra i denti. La chiave sarà il recupero tra tutti questi grossi obiettivi. È inutile voler fare tutto per poi trovarsi spompati. Per me questa sarà la grande sfida: gestire il proprio stato di forma su 2/3 mesi continui ad altissima intensità“.
Questa discriminante della storia passata di un paese come motivo di non organizzare degli eventi sportivi è incommentabile.