Dylan Groenewegen racconta le minacce ricevute

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Dylan Groenewegen (Jumbo-Visma) ha raccontato al sito olandese Wilerfiets delle minacce ricevute dopo il noto incidente del giro di Polonia:

…minacce cosi concrete e serie che abbiamo chiamato la polizia pochi giorni dopo l’incidente. Nei giorni e settimane successive la polizia ha sorvegliato la nostra casa. Non potevamo più uscire di casa liberamente. Se volevo uscire di casa un poliziotto mi seguiva in modo che non mi succedesse niente“.

Il corridore olandese ha ricevuto le minacce via posta “…le abbiamo ricevute scritte a mano, incluso un cappio con cui minacciavano di impiccarci mio figlio. Quando leggi certi messaggi e vedi il pezzo di corda rimani sotto shock. È stato determinante per me per capire che non si poteva continuare cosi. Sono andato alla polizia a fare denuncia. E la polizia è subito intervenuta dopo aver visto le lettere. Questo fa capire la gravità delle minacce. Sono cose che certamente ti toccano. Cosa sta succedendo? Com’è possibile? In che mondo malato stiamo vivendo? Ti passano per la testa le cose più pazzesche. Scendere dal letto la mattina è stata dura per un po’“.

Groenewegen racconta poi le difficoltà del vivere in queste condizioni, con la paura costante e la paranoia che fa temere il peggio in ogni cosa: una macchina che ti segue, l’allarme di casa che scatta per sbaglio, il sospetto dietro ogni cosa.

Commenti

  1. samuelgol:

    Ricominciamo con le supercazzole?
    2 anni potrebbe essere la pena prevista, poi a seconda dei casi l'Uci vede e provvede, un pò come si fa con le contravvenzioni.. ma la pena deve essere programmata in modo che entri bene in zucca che se fai di certe scorrettezze la potresti pagare cara.
  2. jan80:

    ti ripeto manovre simili in volata se ne fanno ogni volta.......praticamente dopo 2 mesi di gare se fosse vera la regola di non far certe manovre,le volate le farebbero scalatori,per poi probabilmente squalificare anche loro.....
    Esiste la fatalità,sai cosa e'??
    In casi del genere mi resta difficile parlare di fatalità.

    Compiere scorrettezze più o meno volontariamente e consapevolmente o tentare di passare dove non c'è spazio non son "fatalità". Organizzare un arrivo in leggera discesa e soprattutto attrezzarla con transenne non efficaci non è "fatalità".

    Come non è "fatalità" che un ciclista venga investito da chi stava leggendo il cellulare o da chi sorpassava senza visibilità.

    La sicurezza assoluta non può esistere, sia chiaro, ma se parliamo di fatalità per le conseguenze di errori e di incapacità non avremo mai neppure una sicurezza minima.

    Quello su cui concordo è che la logica della forca non ha senso e non funziona. In informatica si dice che la sicurezza è un processo e non un prodotto, è un modo di lavorare. Se non si ragiona così non se ne esce.
  3. samuelgol:

    ...in generale mi sembrano idee insensate e assurde.

    È un'idea che ha lanciato Theo Bos, specialista di keirin. E che comunque sa di cosa parla :==

    [MEDIA=youtube]7JMY68cS9gw[/MEDIA]
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